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Milano, “Lo spazio non è neutro”: Ripensare l’urbanistica per superare le barriere di genere

Come porre un approccio inclusivo alla creazione della città del futuro

Milano, “Lo spazio non è neutro”: Ripensare l’urbanistica per superare le barriere di genere.

Dal 20 al 22 maggio presso BASE Milano la 12esima edizione del WeWorld Festival, iniziativa portata avanti dall’organizzazione non governativa WeWorld. Si tratta di tre giorni di talk, dibattiti, performance e mostre, ad accesso libero e gratuito, incentrate principalmente sulla questione della condizione femminile in Italia e nel mondo. Ma, soprattutto, quest’anno il tema centrale sono state le barriere di genere, barriere visibili e non visibili che si presentano a livello sociale, psicologico, fisico, culturale, economico, comunicativo…

 

Da quelle legate ai ruoli genitoriali (si possono definire “mammi” o semplicemente “papà”?) a quelle che si presentano nei diversi contesti lavorativi, come ad esempio nel mondo della politica o in quello dell’informazione, dove è imperante il fenomeno del male gaze: solo il 21% degli articoli è firmato da donne; da quelle del linguaggio a quelle create dalla strutturazione degli ambienti pensati, e non, per le donne. È sempre ad opera dell’organizzazione la mostra intitolata “Così lontane, così vicine”, nella quale si raccolgono le fotografie di dodici autori che ritraggono donne diverse, accomunate dalle loro storie; storie di abusi, sfruttamento, fuga e fame. Sono ritratti di donne che condividono la condizione di vittime primarie di ogni guerra e di ogni crisi climatica e sociale. – I protagonisti e le protagoniste di questa edizione con i loro racconti e riflessioni proveranno a proporre nuovi modelli, soluzioni e strumenti per superare stereotipi ancora profondamente radicati nel nostro tessuto sociale e culturale e rendere finalmente le nostre società più eque ed inclusive”. –  dichiara Marco Chiesara, presidente di WeWorld.

WeWorldFestival Milano

In particolare, sabato 21 maggio si è tenuto un incontro, coordinato da Beatrice Costa, Direttrice Fondazione dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Milano, sulla questione dell’urbanistica di genere e, nell’insieme, del rapporto polis-cittadino, dove con “cittadino” non si intendono tutte le categorie di utenti ma, ancora, una parte estremamente limitata. Ad approfondire il tema sono Florencia Andreola e Azzurra Muzzonigo, ricercatrici indipendenti che hanno creato il progetto Sex & The City, associazione che osserva le città da un punto di vista di genere, insieme a Giulia Sudano, tra le fondatrici di Period Think Tank. – L’interrogativo che sta alla base della nostra ricerca è: “la città è effettivamente pensata per tutte le persone e per rispondere ai bisogni di tutti quelli che la abitano oppure no?” – introduce Andreola. Le diverse possibilità di utilizzo degli spazi della città non sono determinate dalla diversità biologica tra i generi, bensì da un diverso approccio di questi alla vita quotidiana. Infatti, è stato dimostrato che, ancora ad oggi, il 75% del lavoro di cura di persone non autonome, come bambini e anziani, sia sulle spalle delle donne e che, proprio in questo contesto, si scoprano una serie di mancanze a livello architettonico. Basti pensare, ad esempio, alle donne che spesso si trovano nelle condizioni di dover chiedere aiuto per poter salire o scendere le scale con un passeggino o una culla. La città è faticosa per moltissime categorie, quindi, ma questa problematica si traduce in una questione di genere dal momento in cui, secondo i dati, sarebbero prettamente le donne a svolgere questo tipo di attività per cui la città non ha nessun tipo di agevolazione.

Inoltre, altro tema importante è quello della paura, condivisa da quasi tutte le donne, di usufruire di determinate aree della città durante le ore serali. La filosofa e geografa Leslie Kern parla di “geografia della paura delle donne” e di come, secondo le percezioni delle donne, alcune zone della città vengano classificate come sicure o non sicure per la categoria. È una geografia che si costruisce in base alle rinunce, alle strade che si fanno o che, principalmente, non si fanno. È stato dimostrato che il 36% delle donne non esce durante le ore serali perché ha paura. – Per rispondere alla domanda su cos’è una città femminista inizierei con il dire che è una città che intanto inizia ad interrogarsi su questi aspetti, è una città che, da parte di tutti gli attori che costruiscono la città, quindi da parte degli amministratori pubblici, dei progettisti, dei pianificatori urbani, si è posta questi quesiti e prova nel modo più efficiente possibile a dare una risposta concreta, prova a far sì che la città sia in grado di rendersi conto che l’utente standard a cui si rivolge generalmente la pianificazione è un utente limitato, molto spesso che corrisponde ad un maschio di mezza età etero e cisgender. –

A tal proposito Florencia Andreola e Azzurra Muzzonigo hanno dato il via ad un progetto che si intitola “Atlante delle donne” e, in particolare, hanno tracciato nell’area di Milano una mappatura, sostenuta dai dati statistici, di tutti i servizi e gli spazi utili o maggiormente usufruiti dalle donne, tra cui la rete capillare di centri anti-violenza, gli asili e i parchi giochi. Per quanto riguarda le iniziative della città che possono permettere di fare un passo avanti nella questione dell’urbanistica di genere, vengono riportati l’esempio di un esperimento belga, promosso dal Comune di Milano e dall’UNICEF, che consiste nella creazione di spazi appartati e sicuri per l’allattamento o di una campagna del centro culturale Hug Milano, chiamata “#IoCambio”, che si preoccupa di disporre i fasciatoi anche nei bagni degli uomini al fine di eliminare lo stereotipo per cui prendersi cura dei figli sia un compito che compete esclusivamente alle madri. Bisogna, pertanto, porre le condizioni per cui iniziative del genere possano prendere piede in larga misura ed essere valorizzate.

WeWorldFestival Milano

È stato dimostrato che, sui 191,5 miliardi di euro previsti dal PNRR per rilanciare il paese a seguito della pandemia, solo l’1,6% di questi sia destinato a misure per la parità di genere.

Giulia Sudano, infatti, tratta del tema dell’inclusione-esclusione, che già di per sé implica che vi sia qualcuno attore attivo all’interno della vita della città che abbia la possibilità di decidere la sorte di altri soggetti passivi che non hanno la stessa facoltà decisionale. Come spostare quest’asticella che segna uno sbilanciamento nella relazione di potere? Per la Sudano il primo passo è applicare un approccio femminista ai dati, ossia volto a cogliere questa disuguaglianza di potere, afferma – Quello che non misuriamo rimane, di fatto, invisibilizzato. – Il fatto stesso di andare ad identificare tali differenze, anche rispetto ad altre differenze che possono essere determinate dalla classe, dall’età, dall’appartenenza culturale o religiosa, dalla razza e dall’abilità o disabilità, sta alla base della costruzione di politiche volte a rivolgersi alla complessità degli utenti. Quindi è necessario far sì che cresca una domanda dal basso per la misurazione di questi dati rivolta alle istituzioni, le quali non possiedono quasi mai uno sguardo d’insieme essendo molto spesso dominate da coloro che corrispondono al profilo dell’utente standard a cui si rivolge l’urbanistica. È chiaro che se non si conosce un fenomeno non si senta la necessità di costruire delle politiche ad hoc per far fronte alle problematiche che ne conseguono.

 

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