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Ucraina, sprint diplomatico per la pace: Trump e Zelensky vedono l’intesa, ma il Donbass resta il nodo chiave.

Garanzie di sicurezza, territori e centrale di Zaporizhzhia: la trattativa entra nel vivo, mentre Europa e Stati Uniti preparano la fase decisiva e Mosca rivendica i suoi obiettivi.

Ucraina, sprint diplomatico per la pace: Trump e Zelensky vedono l’intesa, ma il Donbass resta il nodo chiave.

L’incontro tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky a Mar-a-Lago, in Florida, ha prodotto un messaggio politico preciso: la trattativa per fermare la guerra in Ucraina entra in una fase di accelerazione. Il presidente degli Stati Uniti, al termine del bilaterale, ha parlato di progressi “molto” concreti e ha indicato un orizzonte temporale ravvicinato, sostenendo che “se le cose vanno bene” un’intesa potrebbe arrivare “fra poche settimane”, pur ammettendo l’esistenza di “uno o due temi spinosi” ancora da sciogliere.

Il piano di pace in 20 punti e la base di convergenza

Sul tavolo c’è un piano in 20 punti elaborato da Kiev e Washington come piattaforma negoziale. Zelensky ha parlato di un impianto “pronto al 90%”, con una sostanziale convergenza su molte clausole operative: misure per prevenire la ripresa delle ostilità, meccanismi di monitoraggio del fronte, liberazione dei prigionieri di guerra e un percorso che, a conflitto concluso, riporti l’Ucraina a una normalità istituzionale, a partire dall’organizzazione di elezioni. Nel racconto che emerge dalle fonti, il cuore politico della bozza resta però la “tenuta” della sicurezza postbellica: senza garanzie credibili, per Kiev l’accordo rischia di trasformarsi in una tregua fragile.

Garanzie di sicurezza, la proposta Usa e la richiesta ucraina di un orizzonte più lungo

Il punto più sensibile, e insieme più avanzato, è quello delle garanzie di sicurezza. Secondo quanto riferito da Zelensky, gli Stati Uniti avrebbero proposto garanzie “forti” per 15 anni, con possibilità di proroga; Kiev, però, spinge per un arco temporale decisamente più lungo, arrivando a chiedere impegni nell’ordine dei 30-50 anni. È una richiesta che va oltre la sola dimensione militare: nella lettura ucraina, la durata delle garanzie è ciò che può stabilizzare investimenti, ricostruzione e tenuta sociale, riducendo il rischio che la Russia torni a colpire una volta esaurita l’attenzione internazionale.

Il ruolo dell’Europa: sostegno politico e architettura delle garanzie

Il dossier sicurezza chiama direttamente in causa l’Europa. Ursula von der Leyen, dopo contatti con i due leader, ha parlato di “progressi significativi” e della disponibilità dell’Unione a lavorare con Kiev e Washington per consolidare i passi avanti. In parallelo, sul fronte delle capitali europee prende forma un’agenda dedicata alle garanzie: Emmanuel Macron ha annunciato una nuova riunione della “coalizione dei volenterosi” a Parigi all’inizio di gennaio, con l’obiettivo di definire contributi concreti e mettere a sistema il coinvolgimento europeo nella fase successiva all’accordo.

Donbass, la questione territoriale che frena l’ultimo miglio

Se sul capitolo sicurezza la convergenza appare più solida, la frattura principale resta il destino del Donbass. Zelensky continua a definire la partita territoriale “difficile”, ribadendo che l’Ucraina mantiene una posizione diversa da quella russa. Trump, pur riconoscendo che si tratta di uno dei problemi più complessi, sostiene che le parti si siano avvicinate, senza però indicare una soluzione definitiva. Sullo sfondo pesa anche il precedente: una versione circolata in passato di uno schema Usa-Russia avrebbe previsto il ritiro ucraino da aree ancora sotto controllo di Kiev, ipotesi respinta con nettezza dall’Ucraina.

Il nodo della tregua: cessate il fuoco o rischio “congelamento” del conflitto

Un altro punto controverso riguarda l’idea di una tregua temporanea prima di una pace definitiva. Da Mosca è filtrata la linea secondo cui un cessate il fuoco “provvisorio” rischierebbe solo di prolungare la guerra e preparare una ripresa delle ostilità. Trump ha detto di comprendere l’impostazione russa, lasciando intendere che la partita non si giochi su una pausa breve, ma su un pacchetto complessivo capace di chiudere davvero il conflitto. È una scelta che, se confermata, alza, però, la posta: senza una tregua intermedia, ogni ritardo rischia di coincidere con nuovi attacchi e nuove perdite sul terreno.

Zaporizhzhia, la centrale nucleare dentro la trattativa

Accanto ai territori, torna con forza il tema della centrale nucleare di Zaporizhzhia. Zelensky ha indicato la questione dell’impianto tra i punti non ancora risolti nel negoziato, insieme al capitolo territoriale. Il dossier è strategico per almeno tre ragioni: sicurezza energetica, rischio di incidente in area di guerra e controllo delle infrastrutture critiche nel dopoguerra. Proprio perché “tecnico” e altamente sensibile, Zaporizhzhia può trasformarsi in un banco di prova per misurare la solidità di qualsiasi accordo.

Referendum ed elezioni: le aperture di Zelensky e la pressione russa

Nel tentativo di sbloccare l’ultimo tratto della trattativa, Zelensky ha lasciato intravedere un’apertura politica rilevante: la disponibilità a sottoporre eventuali concessioni a un referendum e, a guerra finita, a indire elezioni — le prime dopo il 2019 — a condizione che la sicurezza sia garantita e che la fine delle ostilità sia reale. È anche una risposta indiretta alla richiesta russa di “decisioni politiche” sul Donbass e al tema, ricorrente, della legittimazione interna di un compromesso territoriale. In controluce, è la consapevolezza che nessun accordo regge se viene percepito come imposto dall’esterno.

La posizione del Cremlino: “fase finale”, ma senza colloquio Putin-Zelensky

Da Mosca, il portavoce Dmitry Peskov ha dichiarato che il Cremlino concorda con Trump sul fatto che i negoziati siano nella fase finale. Resta, però, un limite evidente: secondo le stesse fonti russe, una telefonata diretta tra Putin e Zelensky non sarebbe al momento in agenda, elemento che conferma quanto la trattativa continui a muoversi su canali indiretti e con forti cautele politiche.

Le prossime mosse: risposta di Mosca e riunioni in Europa a gennaio

Il quadro, al 29 dicembre 2025, è quello di un negoziato che tenta l’affondo finale, ma resta appeso a pochi dossier ad alta densità politica: territori, Zaporizhzhia, architettura delle garanzie e formato degli eventuali monitoraggi sul terreno. Trump lascia aperta la possibilità di iniziative personali — persino un viaggio in Ucraina — mentre Zelensky spinge per nuovi incontri con funzionari americani ed europei in Ucraina “nei prossimi giorni”, con l’Europa che prepara un appuntamento a Parigi a inizio gennaio. La variabile decisiva resta la reazione del Cremlino: il “sì” alla cornice negoziale dovrà tradursi in passi verificabili, altrimenti l’ottimismo rischia di infrangersi contro la realtà del fronte.

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