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Milano, sgominata banda di borseggiatori bosniaci di Bimbo: “Italia paradiso degli zingari”

La Polizia di Stato, coordinata dalla Procura della Repubblica di Milano, ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di otto bosniaci per il reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati contro il patrimonio, in particolare furti con destrezza a danno di turisti all’interno delle metropolitane.

L’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti degli indagati è stata eseguita anche con la collaborazione del Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia.

Su indicazione della Squadra Mobile di Milano, una ricercata è stata arrestata all’aeroporto di Lisbona in partenza per Londra ed un’altra è stata arrestata nella città di Barcellona dove avevano delle ville di proprietà.

L’indagine trae origine da una denuncia per estorsione presentata da una giovane di origini bosniache, nei confronti di altri connazionali che la costringevano a delinquere per loro.

I fari degli investigatori su di loro si sono accesi a novembre 2017, quando il giovane bosniaco ha denunciato alla Squadra Mobile, di essere stato aggredito e picchiato da “Bimbo” e da altri suoi familiari che pretendevano il pagamento di diverse migliaia di euro semplicemente per permettergli di vivere a Venezia prima e a Milano poi.

Nel 2018, in furgone, un uomo e una donna parlano tra loro senza sapere di essere intercettati. Lei chiede all’interlocutore “quella di Bimbo ruba ancora?” e lui spiega sì, “quella di Bimbo” ruba ancora perché “è proprio un Paese di handicappati l’Italia”, “è un paradiso per i zingari, il paese di divertimento per i zingari”. 

“Bimbo”, è il proprietario di quel furgone, amico della coppia a bordo, 38enne bosniaco fermato nelle scorse ore.

La banda chiedeva una somma di denaro in cambio dell’autorizzazione a vivere e rubare nella città di Milano, dopo essersi “formata” nel settore specializzato dei furti presso le metropolitane di Roma sotto la protezione del suo capo, O.M.Dalle attività tecniche di intercettazione, è emerso che il capo O.M. e i suoi familiari, tra cui il figlio O.S, minorenne all’epoca dei fatti, i nipoti O.A e O.R, le mogli e le compagne di costoro, avevano costituito una associazione finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di furti, posti in essere (nei centri urbani di Milano, Venezia e Genova).

I furti consumati con destrezza erano commessi ai danni di turisti, prevalentemente stranieri, ritenuti meno attenti e con maggiore disponibilità di denaro contante.

L’ associazione, costituita dal capo, era fondata su un vincolo familiare corrente tra i consociati, tutti abitanti in via Famagosta, n. 4 a Milano, e in possesso di veicoli comuni per gli spostamenti necessari per la realizzazione dei reati fine.

Talvolta la sistemazione avveniva presso alberghi o abitazioni gestite da persone compiacenti. Ogni membro dell’associazione, tra minori, appartenenti ai rispettivi gruppi familiari, ritenuti più difficili da perseguire, era dotato di cellulare per la comunicazione dei propri spostamenti e per quelli delle Forze di Polizia e la contestuale presenza delle vittime dei reati.

Le aree del centro erano inoltre suddivise in altrettante aree di competenza. Infine, a dimostrazione di un sistema ben collaudato e fondato sulla buona conoscenza del sistema penale italiano (con riferimento alla tutela delle donne incinte e madri di prole in tenera età) è stato accertato il ricorso a babysitter che, oltre ad occuparsi sin dalla nascita della gestione dei figli minori dei sodali, all’occorrenza avevano il compito di condurre immediatamente il neonato presso un’altra donna rom, che a sua volta doveva portare il bambino presso l’ufficio di polizia in cui si trovava la madre arrestata, così da ottenere un differimento di pena o la denuncia in stato di libertà in alternativa all’arresto in flagranza. Il tutto sotto la regia degli uomini.

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