L’inchiesta sulle Cyber-Spie: Il progetto “Safe Harbour” e il sistema di Dossieraggio
Scoperta una rete di cyber-spie: il progetto "Safe Harbour" e una società-schermo per sfuggire alle indagini. Tra dossieraggio illecito, intercettazioni e coperture, emergono dettagli inquietanti sulla sicurezza dei dati in Italia.
L’inchiesta sulle Cyber-Spie: Il progetto “Safe Harbour” e il sistema di Dossieraggio.
Nelle ultime settimane, l’indagine della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Milano e della Direzione Nazionale Antimafia (DNA) ha rivelato l’esistenza di una complessa rete di cyber-spie impegnate in attività di dossieraggio e acquisizione illecita di dati sensibili. Al centro dell’inchiesta c’è il progetto “Safe Harbour” (Porto Sicuro), un’iniziativa creata da Nunzio Samuele Calamucci, considerato la “mente tecnologica” del gruppo. Il progetto era volto a proteggere i membri del network criminale da eventuali indagini, attraverso la costituzione di una società-schermo con sede a Reggio Emilia.
Il progetto “Safe Harbour” e il ruolo della Società-Schermo
Secondo le carte dell’inchiesta, la società “Safe Harbour” era pensata per offrire al gruppo criminale una “copertura” nel caso di accertamenti da parte delle forze dell’ordine. Con un capitale sociale modesto, la società-schermo aveva l’obiettivo di drenare risorse e, contemporaneamente, distanziare fisicamente e burocraticamente il quartier generale dell’organizzazione da via Pattari, a Milano, centro operativo di Equalize, la società collegata all’attività di dossieraggio. La strategia prevedeva che “Safe Harbour” consentisse ai membri del gruppo di spostare denaro e gestire rapporti commerciali, mantenendo però un profilo basso e defilato.
Il piano di Calamucci, reso noto dalle intercettazioni e dalle dichiarazioni rese in fase d’indagine, mirava a centralizzare in “Safe Harbour” le attività di formazione, realizzazione e distribuzione di report costruiti su dati acquisiti in modo abusivo. Questi documenti, apparentemente “leciti”, venivano venduti a clienti prestigiosi, tra cui studi legali e aziende di grande rilievo, evidenziando la capillare diffusione del servizio illegale.
Interrogatori e collaborazioni: La difesa di Gallo e Calamucci
Il coinvolgimento di Carmine Gallo, ex super-poliziotto e responsabile di Equalize, è uno degli aspetti più controversi dell’inchiesta. Gallo, durante un interrogatorio, ha dichiarato di voler collaborare con le autorità, pur sottolineando la sua innocenza e il suo lungo servizio verso le istituzioni. Anche Calamucci, figura centrale nello sviluppo delle operazioni digitali della rete, ha negato alcune delle accuse, sostenendo che molte delle affermazioni riportate dagli inquirenti siano tecnicamente irrealizzabili e rifiutando di aver mai “bucato” il sistema informativo dello SDI (Sistema di Indagine del Ministero dell’Interno).
Durante l’interrogatorio di garanzia, solo uno degli indagati, il poliziotto Marco Malerba, ha ammesso di aver svolto “accessi abusivi ai dati” in cambio di piccoli favori, tra cui raccomandazioni per visite mediche e prenotazioni in ristoranti. La complicità di Malerba, come indicato nelle sue dichiarazioni, sembra dovuta alla volontà di mantenere rapporti di favore con Gallo, suo ex superiore, a cui ha affermato di non essere mai riuscito a dire di no.
L’Organizzazione di Equalize: Tra coperture e rapporti con le Istituzioni
Equalize, la società amministrata da Gallo e di proprietà di Enrico Pazzali, presidente autosospesosi di Fondazione Fiera, rappresentava il cuore del traffico illecito di informazioni. Pazzali stesso, documentano gli inquirenti, era solito muoversi in auto con autista e distintivo della Prefettura di Milano, un elemento che, secondo le indagini, simboleggia l’intento di legittimare l’attività di Equalize attraverso un accostamento istituzionale.
Un’intercettazione registrata il 5 settembre scorso mostra un dialogo tra Calamucci, Gallo e Pazzali in cui si descrive la “trasformazione” di Equalize da una struttura a basso profilo, quasi da Ikea, in una “boutique” di informazioni. Questa crescente rilevanza e visibilità, di cui si vantavano i membri del gruppo, dimostra il passaggio da operazioni illecite condotte in modo discreto a un sistema più strutturato e sicuro di sé, sostenuto da una forte base economica e una clientela diversificata.
Minacce e paure: Le dichiarazioni di Cornelli e Camponovo
Due tra i principali esperti di hacking del gruppo, Giulio Cornelli e Massimiliano Camponovo, pur scegliendo inizialmente di avvalersi della facoltà di non rispondere, hanno lasciato aperti alcuni spiragli di collaborazione. Camponovo, in particolare, ha parlato di una “mano oscura” che guidava il sistema, generando un clima di paura che lo aveva portato a temere per la sua vita e quella dei suoi cari. Cornelli, dal canto suo, ha manifestato la volontà di “chiarire tutto”, cercando di allontanarsi da ambienti che non gli appartenevano e chiedendo di poter leggere gli atti per dare il suo contributo alla verità.
L’Intervento delle Autorità e la questione della Sicurezza Nazionale
L’inchiesta della Procura di Milano ha aperto una questione critica legata alla sicurezza dei dati e all’uso improprio delle informazioni digitali in Italia. Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, intervenendo in Senato, ha evidenziato come l’utilizzo illecito di dati personali da parte di individui o organizzazioni possa avere finalità non solo di lucro, ma anche di attacco agli avversari politici, minacciando l’integrità del processo democratico. Piantedosi ha sottolineato come la Polizia Postale e il Comitato Nazionale per la Sicurezza Cibernetica siano impegnati in azioni preventive e repressive per contrastare minacce cyber, con oltre 25.000 attacchi informatici rilevanti gestiti tra il 2022 e il 2023.
La “Squadra Fiore” e le connessioni con i Servizi Segreti
Le indagini hanno anche messo in luce i legami del gruppo con una presunta centrale di dossieraggio, denominata “Squadra Fiore”, che operava a Roma e comprendeva ex membri delle forze di polizia. Tra questi spicca il nome di Marco Mancini, ex dirigente dei servizi segreti, il quale, secondo alcune dichiarazioni raccolte durante l’inchiesta, sarebbe stato coinvolto in minacce di morte nei confronti di Vincenzo De Marzio, ex carabiniere e anche lui indagato.
L’avvocato di Mancini ha definito queste accuse “prive di fondamento”, suggerendo che le intercettazioni riportate siano frutto di tentativi di accredito tra i membri del gruppo. Il caso della “Squadra Fiore” sottolinea però l’esistenza di una rete di influenze e connessioni tra il network di Equalize e ambienti para-istituzionali, su cui la Procura di Milano continua a indagare.
La complessità del sistema di dossieraggio legato a Equalize e alla società-schermo Safe Harbour evidenzia come la sottrazione e la vendita di dati sensibili, unita a una rete di favori e coperture, rappresentino un rischio non solo per la sicurezza dei cittadini, ma anche per l’integrità delle istituzioni democratiche. Le indagini sono ancora in corso e il quadro definitivo potrebbe riservare ulteriori sorprese, con il potenziale coinvolgimento di altre figure e organizzazioni di rilievo. Questo caso, che ha sconvolto l’opinione pubblica italiana, getta luce sulle sfide che l’Italia deve affrontare per garantire la sicurezza cibernetica e la trasparenza delle istituzioni, un tema su cui è necessario vigilare con impegno e determinazione.
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