I ricchi con bei denti, i più fragili “sdentati”: Asst Nord Milano chiude i presidi di Odontoiatria a Cologno Monzese e Sesto San Giovanni
Senza denti e senza diritti: a Nord Milano la sanità pubblica chiude le porte ai più fragili.
I ricchi con bei denti, i più fragili “sdentati”: Asst Nord Milano chiude i presidi di Odontoiatria a Cologno Monzese e Sesto San Giovanni.
Potrà sembrare un paradosso, ma il fatto è questo, in un periodo in cui il costo della vita è faticoso da sostenere ogni giorno per buona parte dei cittadini, anche la salute dei denti diventa un bene di lusso.
Come se la salute dei denti e della bocca, non appartenessero ad una parte del nostro corpo.
A chi importa se buona parte dei cittadini fa fatica a curarsi e abbandona le cure per via delle lunghe code d’attesa e per i costi delle strutture private.
Ma no, in questo contesto già drammatico, si decide, invece di allargare l’erogazione dei servizi LEA (livelli essenziali di assistenza – ndr) alle fasce di popolazione più fragile, e permettere anche a chi non può, di avere accesso alle cure odontoiatriche, si decide di privare Cologno Monzese e Sesto San Giovanni dei due ambulatori odontoiatrici del territorio. Asst Nord Milano lascerà, se fosse così, moltissime persone/pazienti senza cure e con cure in corso, e senza accesso sul territorio alle cure odontoiatriche coi servizi LEA (livelli essenziali di assistenza) e molti dipendenti che attualmente lavorano nei centri odontoiatri senza lavoro.
Insomma per farla breve, a Cologno Monzese e Senso San Giovanni i meno abbienti e i più fragili “devono essere sdentati”, o scegliere se pagare l’affitto o le bollette, piuttosto che curare una carie.
La chiusura degli ambulatori odontoiatrici pubblici a Sesto San Giovanni e Cologno Monzese. 6.000 pazienti senza cure. 30 lavoratori a rischio. E il diritto alla salute resta sulla carta.
Nel cuore di due tra le città più popolose e storicamente operaie del Nord Milano — Sesto San Giovanni e Cologno Monzese — sta per calare il sipario su un servizio essenziale: gli ambulatori pubblici di odontoiatria. A deciderlo, senza troppo clamore né confronto pubblico, è stata l’Asst Nord Milano, che ha annunciato la dismissione definitiva dei due presìdi sanitari. In cambio, un vago invito ai pazienti a “spostarsi” a Cusano Milanino, dove però le postazioni odontoiatriche si contano sulle dita di una mano. E l’unica certezza è una: chi ha bisogno, resterà senza cure.
Questa scelta non è un semplice “riassetto gestionale”. In Lombardia, pezzo dopo pezzo, il servizio sanitario pubblico, sta lasciando che il settore privato si espanda nella voragine creata dal disimpegno istituzionale. Il risultato? Una sanità a due velocità: chi può pagare, sorride a pieni denti; chi no, resta indietro, spesso in silenzio e in dolore.
45.409 prestazioni all’anno. Ma evidentemente non bastano
I numeri parlano chiaro: 6.624 cittadini serviti annualmente, di cui 4.217 solo a Sesto San Giovanni; 18 operatrici stabili, 2 lavoratori indiretti, 30 professionisti in appalto attraverso Odontocoop; 15 poltrone odontoiatriche attive su due centri, con oltre 45mila prestazioni ogni anno. Eppure, tutto questo verrà spazzato via da una decisione calata dall’alto, con motivazioni fumose e prospettive inesistenti. Il contratto con Odontocoop scadrà il 30 settembre 2025, e ad oggi l’unica “apertura” da parte dell’Asst è una proroga per i soli due mesi successivi, limitata al centro di Sesto. A Cologno, invece, il nulla.
Una differenziazione che suona beffarda: come se i cittadini colognesi valessero meno di quelli sestesi. La sanità pubblica non può trasformarsi in un sistema a gettone territoriale, dove l’accesso alle cure dipende dal codice di avviamento postale.
I sindacati in piazza: “Un doppio schiaffo, sociale e occupazionale”
La Cgil Funzione Pubblica ha guidato la protesta davanti al presidio di Sesto e annuncia un nuovo appuntamento a Cologno. Il sindacalista Giosuè Calvanese ha messo il dito nella piaga: “Non è solo un problema di accesso alle cure per i pazienti — molti dei quali hanno trattamenti ancora in corso — ma anche una questione occupazionale. Le 18 lavoratrici, con un’età media superiore ai 50 anni, rischiano di ritrovarsi senza impiego, senza tutele e senza risposte. E tutto ciò nel più assordante silenzio da parte dell’Asst e della giunta sestese”.
Una decisione che taglia non solo i servizi sanitari, ma anche il tessuto umano di questi territori: professionisti esperti che conoscono le persone, le loro storie, i loro bisogni. Smantellare questi presidi significa anche spezzare un legame di fiducia e prossimità che nessuna clinica privata potrà mai ricreare.
La politica dov’è?
In Regione, il Movimento 5 Stelle ha presentato un’interrogazione all’assessore Guido Bertolaso per chiedere conto di una scelta definita “in contrasto con il principio costituzionale del diritto alla salute”. Anche il Pd, con il consigliere Carlo Borghetti, ha alzato la voce: “Il servizio era fondamentale per tante famiglie in difficoltà. Vogliamo sapere se davvero si intende chiudere tutto o se c’è una strategia di riconversione che non si limiti a svuotare i locali”.
A livello locale, solo Alleanza Verdi-Sinistra si è fatta sentire con decisione.
Quello che oggi avviene a Sesto e Cologno è la dimostrazione di una mancanza di “sana” gestione e comprensione dei bisogni dei cittadini in Lombardia. Dopo la pandemia, si era promesso un rilancio della sanità territoriale, l’apertura delle Case di Comunità, il rafforzamento dell’assistenza pubblica di prossimità. E invece? Strutture chiuse, operatori abbandonati, cittadini dirottati su centri distanti e inadeguati. La salute è una vetrina spolverata solo per chi può permettersi di entrarvi.
Nel frattempo, le classi popolari vengono lasciate sole, e le fasce fragili — disabili, anziani, famiglie monoreddito — pagano il prezzo più alto: quello dell’abbandono.
Un sorriso costa caro. Troppo.
In una regione dove anche un’otturazione può costare centinaia di euro, la chiusura degli ambulatori pubblici equivale a un taglio diretto al volto di chi non ha voce. I denti, si sa, non sono solo un fatto estetico: incidono sulla nutrizione, sul benessere, sulla dignità. Negare queste cure significa negare l’accesso alla salute. Punto.
Chiuderli significa rassegnarsi a un mondo dove chi ha soldi può sorridere, mangiare, parlare senza vergogna. E gli altri? A denti stretti, o peggio: senza denti.
Non è solo una questione di poltrone — né odontoiatriche né politiche. È una questione di giustizia sociale. Se gli organi preposti non torneranno sui propri passi, ci troveremo con un sistema sanitario che non cura ma seleziona. E con un Paese che, ancora una volta, lascia indietro chi non può permettersi nemmeno un sorriso.
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