Manovra 2026, il Senato dà l’ok: via libera con 110 sì. Giorgetti: “Fatto cose che sembravano impossibili”.
Approvata anche la Nota di variazione e il testo passa alla Camera. In Aula protesta di Pd, M5S e Avs con i cartelli “Voltafaccia Meloni”, mentre vengono stralciate alcune norme contestate.
Manovra 2026, il Senato dà l’ok: via libera con 110 sì. Giorgetti: “Fatto cose che sembravano impossibili”.
Il Senato ha approvato la Legge di Bilancio per il 2026, chiudendo una delle giornate politicamente più dense prima della pausa natalizia. Il via libera di Palazzo Madama è arrivato con 110 voti favorevoli, 66 contrari e 2 astenuti, mentre è stata approvata anche la Nota di variazione. Adesso il provvedimento passa alla Camera, dove l’esame dovrà procedere rapidamente per rispettare la scadenza di fine anno ed evitare l’esercizio provvisorio.
La fiducia sul maxiemendamento e l’asse governo-maggioranza
La giornata era stata scandita, in mattinata, dal voto di fiducia posto dal governo sul maxiemendamento interamente sostitutivo: in quel passaggio i sì sono stati 113, i no 70, con 2 astenuti. È il segnale di un percorso blindato, costruito per comprimere tempi e modifiche, ma anche per ricompattare una maggioranza attraversata da tensioni e aggiustamenti dell’ultima ora.
“Circa 22 miliardi”: la cornice finanziaria rivendicata da Giorgetti
Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha inquadrato l’operazione nei numeri, sostenendo che la manovra “vale complessivamente circa 22 miliardi”, cresciuta rispetto ai 18,7 miliardi iniziali grazie alle integrazioni introdotte con l’ultimo maxiemendamento. In particolare, il titolare del Mef ha citato gli stanziamenti per Transizione 5.0, Zes e adeguamento prezzi come capitoli che hanno inciso sull’ammontare complessivo.
Il messaggio politico del ministro: “fatto cose che sembravano impossibili”
Sul piano politico, Giorgetti ha rivendicato una manovra “positiva” e coerente con la linea impostata dal governo negli ultimi tre anni. Il fulcro della narrazione è concentrato sul lavoro: la tassazione agevolata al 5% degli aumenti contrattuali per i redditi più bassi e la tassazione all’1% dei premi di produttività vengono presentate come misure che, a suo dire, rispondono a richieste storiche e indicano la direzione di marcia dell’esecutivo.
Lo scontro in Aula: i cartelli “Voltafaccia Meloni” e la protesta delle opposizioni
La fotografia politica della seduta, però, non è fatta solo di numeri e dichiarazioni. Poco prima del voto di fiducia, in Aula è esplosa la protesta delle opposizioni: Pd, M5S e Avs hanno esposto cartelli rossi con la scritta “Voltafaccia Meloni”, accompagnata da accuse sulle promesse elettorali tradite, dalle accise alle pensioni fino alle risorse per la sanità e alla pressione fiscale. Un gesto simbolico che ha trasformato il passaggio parlamentare in un confronto frontale sulla credibilità dell’azione di governo.
Il dietrofront sulle norme contestate: stralciato lo “scudo” sui lavoratori sottopagati
Nel cuore della trattativa politica si è inserito lo stralcio di alcune misure finite nel mirino di opposizioni e sindacati. La più controversa è stata la norma ribattezzata “salva-imprenditori”, che avrebbe limitato il pagamento degli arretrati in alcuni contenziosi su retribuzioni giudicate insufficienti: alla fine è stata rimossa dal testo dopo uno scontro molto duro, anche sul piano della compatibilità costituzionale e dell’impatto sui diritti del lavoro.
Le altre disposizioni cancellate e la questione della “tenuta costituzionale”
Oltre alla norma sui lavoratori sottopagati, sono state eliminate anche altre disposizioni: interventi sulle cosiddette porte girevoli nella pubblica amministrazione, una norma sul collocamento fuori ruolo dei magistrati e una revisione della disciplina del personale della Covip, mentre nel maxiemendamento non è confluita la misura sullo spoil system per le Authority. Il viceministro Maurizio Leo ha motivato lo stralcio con la necessità di non esporre la manovra a rischi di censura e di rafforzarne la “tenuta” sul piano costituzionale.
La corsa alla Camera: tempi stretti e approvazione entro il 31 dicembre
Con l’ok del Senato, la partita si sposta ora a Montecitorio. La finestra temporale è stretta: l’obiettivo è chiudere l’iter entro il 31 dicembre, soglia oltre la quale scatterebbe l’esercizio provvisorio. La strategia del governo, già sperimentata negli anni recenti, punta a un percorso accelerato e a un’ulteriore fiducia per blindare il testo e neutralizzare una campagna emendativa ampia.
Il nodo politico che resta aperto: manovra “prudente” o manovra “di tagli”
Il confronto, intanto, resta doppio. Da un lato la maggioranza difende l’impianto come prova di serietà sui conti e di misure mirate su salari, incentivi e sostegni; dall’altro, le opposizioni insistono sulla lettura di una legge di bilancio costruita “a colpi di fiducia”, con margini ridotti di discussione e con scelte che, secondo la loro accusa, pesano su welfare, sanità e potere d’acquisto. La seconda lettura alla Camera sarà quindi non solo un passaggio tecnico, ma anche il vero banco politico di fine anno per il governo: chiudere in tempo, senza nuove fratture, e con un testo capace di reggere sia le critiche interne sia l’urto del confronto parlamentare.
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