Riforma della giustizia, la Camera approva in terza lettura la separazione delle carriere: 243 sì, bagarre in aula. Ora l’ultimo passaggio al Senato
La Camera approva in terza lettura la riforma della giustizia con 243 voti favorevoli: proteste in Aula, ora il testo passa al Senato. Possibile referendum.
Riforma della giustizia, la Camera approva in terza lettura la separazione delle carriere: 243 sì, bagarre in aula. Ora l’ultimo passaggio al Senato.
Roma, settembre 2025 – Con 243 voti favorevoli e 109 contrari, la Camera dei Deputati ha approvato in terza lettura la riforma costituzionale che introduce la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. Si tratta del terzo via libera parlamentare al provvedimento, che ora attende l’ultimo passaggio al Senato per completare il percorso legislativo.
Maggioranza assoluta, ma non qualificata
Il risultato raggiunto a Montecitorio segna una tappa fondamentale, ma non definitiva, della riforma. Con 243 voti la maggioranza assoluta necessaria per far proseguire l’iter è stata garantita, ma non è stato raggiunto il quorum dei due terzi dell’Assemblea – pari a 267 voti – che avrebbe impedito la possibilità di un referendum confermativo. L’ipotesi di una consultazione popolare, dunque, rimane sul tavolo: sarà inevitabile se anche al Senato non verrà toccata la soglia dei due terzi.
Bagarre in Aula
La votazione si è svolta in un clima teso. Subito dopo l’approvazione, i banchi della maggioranza sono esplosi in applausi, gesto che ha provocato la dura reazione delle opposizioni. La capogruppo del Pd, Chiara Braga, ha criticato il governo per quella che ha definito una “manifestazione inopportuna”, innescando una protesta veemente. Diversi deputati delle minoranze si sono avvicinati ai banchi del governo, la tensione è salita e per pochi istanti si è temuto lo scontro fisico. Il presidente di turno, Sergio Costa, è stato costretto a sospendere la seduta per riportare l’ordine, che è stato ristabilito solo dopo alcuni minuti.
Le reazioni della maggioranza
La premier Giorgia Meloni ha rivendicato il voto come una tappa decisiva per il programma dell’esecutivo:
«Con l’approvazione in terza lettura alla Camera, portiamo avanti il percorso della riforma della giustizia. Continueremo a lavorare per dare all’Italia un sistema giudiziario più efficiente e trasparente. Avanti con determinazione per consegnare alla Nazione una riforma storica e attesa da anni».
Anche il vicepremier e leader di Forza Italia, Antonio Tajani, ha parlato di “vittoria storica”:
«Per noi è una riforma storica, questa è chiusa. C’è solo il referendum. Siamo pronti a fare campagna elettorale: la riforma della giustizia è una battaglia che Forza Italia porta avanti dal 1994 e rappresenta la quintessenza delle riforme».
Tajani ha richiamato il precedente del referendum del 1985 sulla scala mobile, sostenendo che il centrodestra sia pronto ad affrontare una consultazione popolare che, a suo dire, confermerà la volontà del governo.
Le opposizioni sul piede di guerra
Di segno opposto il commento delle opposizioni, che hanno denunciato non solo la natura della riforma, ritenuta divisiva, ma anche il comportamento della maggioranza durante il voto. Per il Pd e gli altri gruppi di minoranza, la separazione delle carriere rischia di minare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, alterando gli equilibri costituzionali.
Cosa succede adesso
Con il voto di Montecitorio, la riforma entra nella sua fase conclusiva. L’ultimo passaggio sarà al Senato, dove la maggioranza conta numeri più risicati. Se anche a Palazzo Madama non verrà raggiunta la maggioranza qualificata dei due terzi, i cittadini saranno chiamati alle urne per esprimersi in un referendum confermativo che si preannuncia già acceso e polarizzante.
Il centrodestra punta a trasformare la consultazione in una prova di forza politica, mentre le opposizioni preparano una campagna referendaria all’insegna della difesa della Costituzione e della magistratura. La riforma della giustizia, dunque, oltre a essere una delle questioni più delicate dell’agenda di governo, rischia di diventare anche uno degli snodi politici più caldi dei prossimi mesi.
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