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Regionali 2025: Stefani, Fico e Decaro oltre il 60%. Vittorie nette, affluenza in picchiata e regioni confermate alle coalizioni uscenti.

Tre vittorie nette confermano le coalizioni uscenti in Veneto, Campania e Puglia, mentre l’affluenza crolla ai minimi storici. Stefani, Fico e Decaro superano il 60% e ridisegnano gli equilibri interni dei loro schieramenti.

Regionali 2025: Stefani, Fico e Decaro oltre il 60%. Vittorie nette, affluenza in picchiata e regioni confermate alle coalizioni uscenti.

Le elezioni regionali di fine autunno 2025 segnano una tripla conferma: il centrodestra mantiene il Veneto, mentre il centrosinistra domina in Campania e Puglia, dove registra margini di vittoria molto ampi. Lo spoglio non è ancora completato, ma i risultati appaiono ormai consolidati e delineano un quadro politico chiaro: le tre regioni restano allineate agli schieramenti che già le governavano.

In parallelo, però, cresce l’allarme per il crollo storico dell’affluenza, precipitata ovunque tra i 10 e i 16 punti rispetto al 2020: un chiaro segnale di distacco tra elettori e politica in un turno che ha coinvolto circa 11,5 milioni di cittadini.

Veneto: la fine dell’era Zaia e l’ascesa di Stefani

In Veneto il tramonto di Luca Zaia, dopo tre legislature, apre la strada a un volto nuovo, ma già radicato nella politica locale: Alberto Stefani, classe 1992. ll candidato leghista ottiene il 61,3%, con la coalizione al 63%. 
Giovanni Manildo, centrosinistra, si ferma attorno al 30%, mentre Riccardo Szumski raccoglie oltre il 6%.

Un risultato solido, ampio, quasi scolpito nelle aspettative della vigilia. Stefani diventa così il più giovane presidente di Regione in Italia, simbolo di un cambio generazionale che non scardina l’assetto politico, ma lo rinnova.

La sua campagna, costruita con toni rassicuranti e continuità programmatica, promette una cura particolare al sociale, con una maggiore attenzione alle fragilità di anziani e giovani e annuncia il potenziamento della sanità regionale e un impegno forte per semplificare la burocrazia, coinvolgendo imprese e terzo settore.

Nelle prime dichiarazioni, ringrazia “tutti i veneti, anche chi non mi ha votato” e promette un impegno immediato sulle priorità sociali.

Per Giorgia Meloni, quella veneta è una “vittoria frutto del lavoro e della credibilità della coalizione”.

Tra i partiti, la Lega torna ad essere la prima forza regionale (36%), davanti a Fratelli d’Italia (18,8%).

L’unico dato cupo è l’affluenza: solo il 44,6% che dimostra un Veneto politicamente stabile, ma civicamente stanco.

Campania: la Campania “di Fico” e la svolta del campo largo

A sud, la Campania risponde con una voce altrettanto netta, ma di colore diverso.
Roberto Fico, volto storico del Movimento 5 Stelle e figura rispettata anche oltre i confini del suo partito, guida la coalizione progressista e conquista quasi il 60% dei voti. Edmondo Cirielli, candidato del centrodestra, resta fermo attorno al 36%.

Giuseppe Conte non resiste alla stoccata: “non saltellano più. Abbiamo vinto ascoltando i bisogni delle persone.”

Elly Schlein vola a Napoli per abbracciare il nuovo governatore e rilancia una lettura strategica: “uniti si stravince. L’alternativa c’è e parte dal Sud.”

Il dato delle liste conferma la natura plurale della coalizione: un mix di PD, M5S, civiche e forze riformiste che funziona, in quanto supera il 59% e suggerisce che il laboratorio del “campo largo” può funzionare davvero.

Ma anche qui l’ombra è la stessa: l’affluenza.
In Campania si ferma al 44,05%, oltre undici punti in meno rispetto al 2020.

Puglia: l’onda lunga di Antonio Decaro e la vittoria oltre il 66%

Poi c’è la Puglia, dove il risultato assume i contorni dell’entusiasmo popolare.
La vittoria di Antonio Decaro, ex sindaco di Bari, è quasi plebiscitaria: 66,9%.
Una cifra che racconta un radicamento territoriale eccezionale, già dimostrato alle Europee del 2024 con un record di preferenze.

La Puglia, terra politicamente complessa e spesso contesa, questa volta non lascia spazio a dubbi: il centrosinistra si è organizzato in una coalizione ampia e coesa, e supera il centrodestra con un margine che ha pochi precedenti nella storia regionale.

Decaro sembra incarnare una figura amministrativa concreta e lo ribadisce subito: “festeggio oggi. Da domani lavoro per meritare questa fiducia.”

Le liste offrono diverse chiavi di lettura: il PD rimane il primo partito regionale (25–29%), il M5S mantiene un ruolo solido, ma è soprattutto l’insieme delle civiche a trainare la coalizione.
Nel centrodestra, Forza Italia sorpassa la Lega, segnando un ulteriore spostamento interno ai rapporti di forza nazionali.

Qui l’affluenza è la più bassa d’Italia: 41,83%.
Un dato che lascia aperti interrogativi profondi sul rapporto tra cittadini e istituzioni.

Un autunno lungo, un Paese in equilibrio, un elettorato in fuga

Questa tornata regionale chiude mesi di consultazioni in diverse regioni italiane, restituendo una mappa coerente: le amministrazioni uscenti tengono ovunque.
Come nota Maurizio Gasparri, il centrodestra chiude “4 a 3” il bilancio complessivo, considerando anche Marche e Valle d’Aosta, mentre la lettura dei progressisti, per voce di Marco Furfaro, è differente: “Decaro e Fico dimostrano cosa succede quando si sceglie la strada dell’unità”.

Il dato più trasversale resta però uno: la partecipazione crolla sotto il 45% in tutte e tre le regioni. Un fenomeno che attraversa territori e schieramenti, e che pone interrogativi profondi sul rapporto tra cittadini e istituzioni.

Tre storie diverse, tre conferme che rassicurano i rispettivi schieramenti, ma sopra ogni risultato aleggia un messaggio silenzioso, quello dei molti che non hanno votato.
A loro – forse più che ai vincitori – la politica dovrà guardare nei prossimi mesi.

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