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Meloni: “Vado al seggio ma non ritiro le schede”. Scoppia la polemica sui referendum

La presidente del Consiglio rompe il silenzio sulla consultazione dell’8 e 9 giugno: andrà al seggio, ma non ritirerà le schede. Una scelta che alimenta il fronte dell’astensione, scatena la reazione delle opposizioni e accende i riflettori sulla posta politica del quorum.

Meloni: “Vado al seggio ma non ritiro le schede”. Scoppia la polemica sui referendum.

La presidente del Consiglio rompe il silenzio sulla consultazione dell’8 e 9 giugno: andrà al seggio, ma non ritirerà le schede. Una scelta che alimenta il fronte dell’astensione, scatena la reazione delle opposizioni e accende i riflettori sulla posta politica del quorum.

Nel giorno simbolico del 2 giugno, anniversario della nascita della Repubblica e primo voto a suffragio universale in Italia, la premier Giorgia Meloni ha annunciato che domenica e lunedì prossimi si recherà al seggio per i cinque referendum promossi da sinistra e sindacati, ma non ritirerà le schede. Un gesto carico di significati istituzionali e politici, che formalmente rientra nelle opzioni previste dalla legge, ma che nei fatti viene letto come una strategia di astensione mascherata.

È un messaggio silenzioso ma preciso, che arriva dopo settimane di ambiguità e che si inserisce in una linea già tracciata dai principali leader del centrodestra: Antonio Tajani, Matteo Salvini e Ignazio La Russa avevano già scelto la via dell’astensione, considerata l’unico modo per affossare i referendum invalidandoli per mancato raggiungimento del quorum. Meloni, in qualità di capo del governo, ha preferito una via più istituzionale: la presenza fisica al voto per sottolineare il rispetto della democrazia, ma la rinuncia formale al gesto elettorale, per non avvalorare nessuna delle opzioni in campo.

Astensione «istituzionale»: una scelta calcolata

Secondo la circolare del Viminale, chi si reca al seggio ma rifiuta le schede non viene conteggiato tra i votanti. In termini pratici, ciò equivale a non partecipare al voto e contribuisce, dunque, alla strategia del centrodestra per abbassare l’affluenza e far fallire i quesiti referendari. Ma Meloni sceglie una forma più garbata, meno divisiva, che consente di tenere una posizione “neutrale” sul piano istituzionale, ma politicamente molto chiara.

La premier, come raccontano fonti di Palazzo Chigi, ha valutato con attenzione tempi e modi della dichiarazione. Farla il 2 giugno, e non a ridosso del voto, serve a depotenziarne l’impatto mediatico e ad “abbassare la curva dell’attenzione”, come dicono i suoi. L’obiettivo: evitare che un’esposizione diretta possa risvegliare l’elettorato referendario e aumentare il rischio di raggiungimento del quorum. La scelta, definita di “garbo istituzionale”, appare come un tentativo di evitare accuse di sabotaggio diretto, pur partecipando alla linea dell’astensione.

Le opposizioni all’attacco: “Una presa in giro”

La reazione dell’opposizione è stata durissima. «Meloni prende in giro gli italiani dicendo “vado a votare ma non voto”», attacca la segretaria del Pd Elly Schlein. «È chiaro che vuole affossare i referendum, perché teme che si possa raggiungere il quorum. Avrebbe almeno potuto avere il coraggio di dire no», aggiunge.

Giuseppe Conte, leader del M5S, parla di una decisione “vergognosa”, soprattutto perché arriva proprio nel giorno della Festa della Repubblica. «Non stupisce che Meloni non voti su temi come i diritti dei lavoratori o la cittadinanza: in trent’anni di carriera politica non ha fatto nulla per chi lavora davvero». Anche Riccardo Magi (+Europa), Angelo Bonelli (Avs) e Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana) parlano di “messaggi confusi”, “pantomime” e “paura del voto”.

Persino la Cgil, principale promotrice di quattro dei cinque quesiti referendari, interviene con il suo segretario generale Maurizio Landini: «È un atto irresponsabile. Dire che si va a votare e poi non ritirare le schede è solo un modo per evitare di esporsi su questioni fondamentali per il mondo del lavoro».

Il nodo politico: quorum e messaggi incrociati

Il nodo vero è il quorum. I referendum abrogativi sono validi solo se vota almeno il 50% più uno degli aventi diritto, ovvero circa 25 milioni di italiani. Ad oggi, i sondaggi indicano una propensione al voto ben inferiore. E i quesiti in campo – quattro sul lavoro (licenziamenti, sicurezza, contratti a termine, voucher) e uno sulla cittadinanza – hanno un impatto diretto solo su una parte della popolazione. Inoltre, parte del centrosinistra è diviso: il Jobs Act, al centro di alcuni quesiti, è stato introdotto proprio da un governo guidato dal Pd.

Tuttavia, l’opposizione spera in una mobilitazione civica e punta a superare i 12 milioni di voti, cioè quanti ne raccolse la coalizione di centrodestra alle politiche del 2022. Se i “sì” dovessero superare quella soglia, anche in assenza di quorum, la sinistra potrebbe rivendicare un consenso maggiore rispetto a quello dell’attuale maggioranza e rilanciare la propria leadership in vista delle Regionali d’autunno.

Il precedente e il paradosso

Nel 2022, fu il centrosinistra a boicottare il referendum sulla giustizia promosso dalla Lega, con una massiccia astensione. Nessuno gridò allora allo scandalo, ricordano oggi molti esponenti della maggioranza. Ma oggi i ruoli si sono invertiti, e il simbolismo del 2 giugno rende la presa di posizione della premier ancora più esplosiva. Come nota il costituzionalista ed ex deputato Pd Stefano Ceccanti, «la scelta di andare al seggio senza ritirare le schede è legittima, ma equivale all’astensione totale. È come non votare, e da chi ricopre ruoli istituzionali ci si attenderebbe maggiore chiarezza».

Una battaglia politica, non solo referendaria

Alla fine, la vera posta in gioco non è tanto il merito dei quesiti, quanto il segnale politico che uscirà dalle urne. Il fronte del sì cerca un rilancio attraverso una mobilitazione popolare, il centrodestra punta tutto sull’evitare il quorum. Giorgia Meloni ha scelto di non votare, ma di farsi vedere. Un modo per esserci senza esporsi, per lanciare un messaggio senza pronunciarlo.

Una scelta silenziosa, ma assordante.

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