Landini dopo il flop del referendum: “Sconfitta sul quorum, ma 14 milioni di voti sono un nuovo inizio”.
Il segretario della CGIL accusa il governo di “aver messo in gioco la democrazia” con l’appello al non voto. Fallito l’obiettivo del quorum, ma la mobilitazione continua: “Ripartiamo dall’ascolto e dalla battaglia sui contenuti”.
Landini dopo il flop del referendum: “Sconfitta sul quorum, ma 14 milioni di voti sono un nuovo inizio”.
Il segretario della CGIL accusa il governo di “aver messo in gioco la democrazia” con l’appello al non voto. Fallito l’obiettivo del quorum, ma la mobilitazione continua: “Ripartiamo dall’ascolto e dalla battaglia sui contenuti”.
Non è una giornata di festa per Maurizio Landini, e il segretario generale della CGIL lo dice senza mezzi termini: “Il quorum non l’abbiamo raggiunto, oggi non è una giornata di vittoria”. Il referendum sul lavoro voluto dal sindacato non ha superato il 30% di affluenza, ben lontano dal 50% richiesto per la validità del voto. Eppure, il leader sindacale non alza bandiera bianca: “Oltre 14 milioni di persone hanno votato, è un dato politico enorme, un punto di partenza”.
Un’ora e mezza dopo la chiusura dei seggi, Landini si presenta nella sede del comitato promotore per una conferenza stampa che sa più di rilancio che di resa. “L’obiettivo era il quorum, è chiaro che non lo abbiamo raggiunto. Ma i temi restano tutti aperti: dalla precarietà al sistema degli appalti, dalla sicurezza sul lavoro alla cittadinanza. La nostra battaglia continua, con tutti gli strumenti sindacali e democratici a disposizione”.
Accuse al governo: “L’appello all’astensione ha messo in gioco la democrazia”
Nel mirino del segretario CGIL c’è soprattutto l’atteggiamento del governo Meloni, accusato di aver “politicizzato” il referendum e di aver promosso un “invito irresponsabile all’astensione”. Un comportamento che per Landini “mette in gioco la democrazia stessa”: “Nei giorni scorsi alcuni esponenti di governo non sapevano nemmeno il contenuto dei quesiti e intanto invitavano a non votare. È grave”.
Un’accusa che estende anche al passato, puntando il dito contro il Jobs Act del governo Renzi, il contratto a tutele crescenti, e le “leggi balorde” degli ultimi venticinque anni, “sia di destra che di sinistra”. Ma non si tratta, insiste Landini, di una battaglia contro un partito o un esecutivo in particolare: “Non era un voto contro un governo. Era un referendum sui diritti, sul lavoro, sul futuro delle persone”.
“Sì, la democrazia costa. Ma è un prezzo che si deve pagare”
Alla polemica sui costi della consultazione – cavalcata da alcuni esponenti della maggioranza, come Roberto Vannacci – Landini risponde con sarcasmo: “Sì, la democrazia costa. Mi dovrei preoccupare se per risparmiare dovessimo smettere di votare?”. Ricorda anche che la CGIL aveva chiesto di accorpare il referendum al primo turno delle amministrative, per favorire la partecipazione e ridurre i costi, ma la richiesta fu respinta.
E su ipotesi di sue dimissioni dopo l’esito negativo della consultazione, è netto: “Un passo indietro? Assolutamente no. Non ci penso proprio”.
Un anno di battaglie: “Abbiamo ascoltato il Paese”
Il percorso referendario era iniziato nel marzo 2024. La raccolta firme – quattro milioni in totale, un milione per ciascun quesito – è partita il 25 aprile. Alla fine di gennaio, la Corte Costituzionale aveva dato via libera a cinque quesiti, quattro sul lavoro e uno sulla cittadinanza. Ma il referendum non ha sfondato.
Eppure, per Landini “è stata un’esperienza fondamentale”. Il vero successo, sostiene, è nel lavoro sul campo, nelle assemblee, nei contatti con le persone, soprattutto con i giovani. “Abbiamo allacciato rapporti importanti, ascoltato tanto disagio. Ora la mobilitazione deve andare avanti, anche con un cambiamento nel nostro modo di stare tra le persone”.
La destra esulta, la CGIL rilancia
Dal governo arrivano dichiarazioni trionfanti: Matteo Salvini parla di “una sinistra senza idee”, Roberto Vannacci di “soldi sprecati”, Antonio Tajani propone di “rivedere la legge sui referendum”. Ignazio La Russa, infine, attribuisce l’astensione a una presunta “campagna d’odio” nei suoi confronti. Più tecniche e pacate le considerazioni della ministra del Lavoro Marina Calderone, che sottolinea “la necessità di guardare al futuro” con strumenti nuovi.
Landini, invece, guarda al presente e alla “base solida” di oltre 14 milioni di elettori che hanno scelto di votare. “Abbiamo rimesso il lavoro al centro del dibattito. Non è finita, è solo l’inizio”. E conclude: “Una parte significativa del Paese vuole cambiare. La nostra responsabilità è non abbandonare questa spinta”.
Uno sguardo al futuro
Il fallimento del referendum è una battuta d’arresto per la CGIL, ma Landini non si arrende. La sconfitta numerica non cancella, secondo il sindacato, la validità dei temi messi in campo. Il futuro, ora, si gioca su un terreno diverso: quello della mobilitazione, del dialogo e della contrattazione. Perché, come ha detto il segretario generale, “il lavoro e la democrazia sono la stessa cosa”.
Riproduzione riservata © Copyright La Milano

