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La cucina italiana diventa patrimonio dell’umanità: il riconoscimento Unesco che celebra identità, cultura e comunità.

Il Comitato intergovernativo riunito a New Delhi approva all’unanimità la candidatura italiana: una vittoria storica che valorizza tradizioni, sostenibilità, saperi intergenerazionali e il ruolo sociale della cucina simbolo del Made in Italy.

La cucina italiana diventa patrimonio dell’umanità: il riconoscimento Unesco che celebra identità, cultura e comunità.

La cucina italiana è ufficialmente patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, ha approvato all’unanimità l’iscrizione della candidatura “Cucina italiana fra sostenibilità e diversità bio-culturale”. È la prima volta che un’intera tradizione culinaria nazionale, e non una singola pratica o una ricetta, ottiene questo riconoscimento, a conferma del ruolo della cucina italiana come fenomeno sociale, culturale ed economico di portata globale.

La decisione di New Delhi: un voto unanime e simbolico

La svolta arriva durante la sessione del Comitato intergovernativo per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, ospitata a New Delhi. In un contesto che riunisce decine di Paesi e oltre sessanta dossier in valutazione, la candidatura italiana passa senza esitazioni: il voto è unanime, il clima in sala è quello delle grandi occasioni, con la delegazione italiana – guidata dal ministro degli Esteri Antonio Tajani – salutata da un lungo applauso.

Nella delibera, la cucina italiana viene definita come un intreccio sociale e culturale di pratiche culinarie, un sistema complesso che permette alle comunità di condividere la propria storia e di raccontare il mondo che le circonda. Non solo piatti iconici, dunque, ma un mosaico di gesti, saperi, rituali quotidiani che trasformano il cibo in linguaggio identitario e in strumento di relazione.

Un patrimonio che va oltre il cibo

L’Unesco sottolinea un punto centrale: la cucina italiana non è soltanto nutrizione o somma di ricette. È una pratica che tiene insieme cura di sé e degli altri, memoria collettiva, convivialità e senso di appartenenza. Attorno alla tavola si costruiscono relazioni, si rinsaldano i legami familiari, si trasmettono ricordi e si raccontano le storie delle comunità.

Le preparazioni domestiche, la scelta degli ingredienti, i tempi del pasto, il ruolo della cucina nelle ricorrenze e nelle festività compongono un vero e proprio “teatro sociale” che travalica la dimensione gastronomica. Per il Comitato, cucinare all’italiana significa attivare una pratica comunitaria che coinvolge generazioni diverse, con ruoli intercambiabili, e che consente a tutti di partecipare all’esperienza, indipendentemente dal ceto, dal luogo di origine o dal contesto culturale.

Le motivazioni dell’Unesco: inclusione, memoria e sostenibilità

Le motivazioni ufficiali del riconoscimento ruotano attorno a tre assi principali: inclusione sociale, trasmissione intergenerazionale dei saperi e rispetto degli ingredienti e dell’ambiente. Cucinare secondo la tradizione italiana, osserva l’Unesco, favorisce la condivisione, rafforza i legami, incoraggia la partecipazione e alimenta un forte senso di appartenenza.

La cucina italiana viene descritta come un’attività comunitaria “intima” rispetto al cibo: i gesti che portano alla preparazione di un piatto, la cura nel selezionare materie prime stagionali e l’attenzione a non sprecare nulla rimandano a un rapporto profondo tra persone, territorio e risorse naturali. Le ricette “povere”, nate per riutilizzare avanzi o ingredienti semplici, sono citate come esempi di pratiche anti-spreco che si sono trasformate in patrimonio condiviso.

Altro elemento chiave è l’apprendimento continuo. La cucina italiana, secondo l’Unesco, promuove un “apprendistato permanente” tra generazioni: nonni, genitori e figli si scambiano ruoli, sperimentano, reinterpretano i piatti, mantenendo vivo un patrimonio in costante evoluzione. L’assenza di un modello rigido e codificato – niente dogmi, ma principi di libertà, inclusione e condivisione – rende questa pratica aperta e partecipativa, capace di superare barriere culturali e generazionali.

Il dossier italiano e il ruolo delle istituzioni culturali

La candidatura è stata avanzata nel 2023 dal “Collegio Culinario – Associazione culturale per l’enogastronomia italiana”, in collaborazione con Casa Artusi, l’Accademia Italiana della Cucina e la rivista “La Cucina Italiana”, tra le testate più longeve del settore. Il dossier ricostruisce gli sforzi compiuti dalle comunità italiane negli ultimi sessant’anni per preservare e raccontare le tradizioni gastronomiche, evidenziando il ruolo di riviste, fondazioni, associazioni e accademie che hanno contribuito a studiare, divulgare e trasmettere saperi, tecniche e valori legati al cibo.

Queste realtà, riconosciute dall’Unesco come “organismi rappresentativi chiave”, dimostrano il carattere diffuso e partecipativo delle pratiche culinarie italiane: una rete che va dalle cucine domestiche alle osterie, dai laboratori artigianali alle scuole di cucina, fino agli osservatori culturali che hanno fatto della gastronomia un oggetto di studio e di tutela.

Meloni: “una vittoria dell’Italia e della nostra identità”

Nel suo videomessaggio al Comitato Unesco, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha accolto il riconoscimento con parole di forte orgoglio nazionale, sottolineando il valore simbolico e culturale della decisione. Meloni ha ribadito che la cucina italiana non rappresenta soltanto cibo o un insieme di ricette, ma un universo complesso fatto di cultura, tradizione, lavoro e ricchezza. Ha evidenziato come le filiere agricole italiane coniughino qualità e sostenibilità, custodendo un patrimonio millenario tramandato di generazione in generazione, che prende forma nell’eccellenza dei produttori, nella creatività dei cuochi e nella professionalità dei ristoratori.

Per la premier, questo riconoscimento offre al Sistema Italia un nuovo strumento per valorizzare i propri prodotti e proteggerli da imitazioni e concorrenza sleale, ricordando che l’agroalimentare italiano esporta già 70 miliardi di euro ed è il primo settore in Europa per valore aggiunto. Meloni ha sottolineato l’impegno del Governo nel sostenere la candidatura, ringraziando i ministri Lollobrigida e Giuli, ma ha attribuito la vittoria all’intero popolo italiano, compresi i connazionali all’estero e quanti nel mondo apprezzano la cultura e lo stile di vita italiani. Ha definito la decisione dell’Unesco una vittoria di una Nazione che, quando crede in sé stessa, “non ha rivali e può stupire il mondo”.

Tajani: gioco di squadra e volano di crescita

Dalla sede di New Delhi, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha enfatizzato il “gioco di squadra” che ha portato al risultato, ringraziando il personale delle ambasciate e dei consolati italiani impegnati nel sostegno alla candidatura. La cucina italiana, ha spiegato, non è solo ciò che accade ai fornelli, ma un patrimonio che racconta storia e identità nazionale e che rappresenta al tempo stesso salute e innovazione.

Tajani ha richiamato i dati dell’export agroalimentare, in continua crescita, e ha legato il riconoscimento Unesco alle prospettive di ulteriore espansione sui mercati internazionali, dove la domanda di prodotti legati alla tradizione italiana continua ad aumentare. L’iscrizione nella Lista del patrimonio immateriale, in questa chiave, viene letta come un “marchio” simbolico che può rafforzare la posizione del Made in Italy in un contesto globale altamente competitivo.

Lollobrigida: una festa delle famiglie, degli agricoltori e dei ristoratori

Sul fronte del governo, il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste Francesco Lollobrigida ha parlato di “vittoria di tutti”, una festa che appartiene alle famiglie che tramandano sapori antichi, agli agricoltori che custodiscono la terra, ai produttori che lavorano con passione e ai ristoratori che portano nel mondo l’immagine dell’Italia autentica.

Per Lollobrigida, il riconoscimento dell’Unesco celebra la forza della cultura italiana come identità nazionale, orgoglio e visione. La cucina viene rappresentata come un racconto collettivo, costruito generazione dopo generazione, in cui i saperi tradizionali sono stati trasformati in eccellenza. Allo stesso tempo, il ministro sottolinea le ricadute concrete: maggiore valorizzazione dei prodotti e dei territori, nuove opportunità di lavoro e sviluppo locale, strumenti più efficaci per contrastare l’uso improprio dell’italianità in campo alimentare.

Identità, relazioni e trasmissione dei saperi

Al di là dei numeri e delle ricadute economiche, il riconoscimento Unesco mette al centro il valore immateriale della cucina italiana. Il cucinare, in questa prospettiva, è prima di tutto una pratica relazionale. Intorno a un piatto di pasta, a un pane appena sfornato, a un sugo preparato “come si faceva una volta”, si costruiscono relazioni di fiducia, si trasmettono storie, si insegna a riconoscere sapori e stagioni.

La dimensione intergenerazionale è uno dei tratti distintivi evidenziati nella delibera: non esiste un’unica figura depositaria del sapere, ma un continuo passaggio di ruoli tra chi insegna e chi impara, tra chi custodisce la memoria e chi la reinterpreta. In questo gioco di scambi, la cucina italiana rimane un patrimonio vivo, capace di rinnovarsi senza perdere le proprie radici.

La stessa idea di “cucina di casa”, così centrale nell’immaginario italiano, viene valorizzata come spazio di apprendimento informale in cui tecniche, ricette e gesti si tramandano non solo attraverso manuali e ricettari, ma soprattutto attraverso l’esperienza condivisa.

Tra territorio e biodiversità: la dimensione bioculturale

La candidatura italiana, fin dal titolo, ha insistito sul nesso tra cucina, sostenibilità e diversità bio-culturale. La pratica culinaria viene presentata come espressione diretta della biodiversità dei territori: ogni regione, ogni area interna, ogni costa e ogni montagna contribuisce con prodotti, varietà, tradizioni specifiche che alimentano la ricchezza del patrimonio gastronomico complessivo.

L’Unesco riconosce in questo intreccio tra natura e cultura un elemento essenziale della cucina italiana. La scelta di ingredienti locali, il rispetto della stagionalità, l’uso creativo di materie prime anche umili hanno contribuito a costruire paesaggi gastronomici in cui il piatto diventa specchio del territorio. Preservare la cucina, in questo senso, significa anche tutelare sistemi agricoli tradizionali, saperi contadini e pratiche di coltivazione che rischiano di essere marginalizzati dall’omologazione dei modelli alimentari globali.

Made in Italy, imitazioni e sfide future

Il riconoscimento Unesco arriva in un momento in cui la cucina italiana gode di una popolarità planetaria, ma si confronta anche con fenomeni di imitazione e “italian sounding” che generano un enorme giro d’affari senza ricadute reali sui produttori italiani. La certificazione simbolica dell’Unesco non risolve da sola il problema, ma offre un argomento in più nelle battaglie diplomatiche e commerciali per difendere l’autenticità dei prodotti e delle filiere.

Allo stesso tempo, il riconoscimento pone l’Italia di fronte a sfide interne non banali. La tutela della cucina come patrimonio immateriale implica la necessità di sostenere le aree rurali, proteggere la biodiversità agricola, promuovere un uso sostenibile delle risorse e assicurare che il ricambio generazionale nelle campagne e nella ristorazione non venga meno. Significa anche interrogarsi su come conciliare la tradizione con le trasformazioni sociali contemporanee, dai nuovi stili di vita urbani ai mutamenti delle abitudini alimentari.

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