Il Decreto Sicurezza è legge: alta tensione in Senato tra accuse, proteste e quasi risse
Il Senato approva in via definitiva il Decreto Sicurezza tra proteste, accuse incrociate e momenti di alta tensione. La maggioranza esulta, le opposizioni denunciano un attacco ai diritti.
Il Decreto Sicurezza è legge: alta tensione in Senato tra accuse, proteste e quasi risse.
Il Decreto Sicurezza è ufficialmente legge. Con 109 voti favorevoli e 69 contrari, il Senato ha approvato in via definitiva uno dei provvedimenti più divisivi degli ultimi anni, blindandolo con un voto di fiducia a pochi giorni dalla scadenza per la sua conversione. Un percorso parlamentare segnato da forti contrasti, proteste clamorose e tensioni culminate in uno scontro verbale che ha quasi degenerato in rissa.
Sit-in dell’opposizione e aula sospesa
La giornata parlamentare si è aperta con una protesta simbolica da parte dei senatori di Pd, M5S e AVS, che hanno dato vita a un sit-in in stile gandhiano all’interno dell’Aula. Seduti a terra, a gambe incrociate e con le mani alzate, hanno urlato “Vergogna!” mostrando cartelli con la scritta “Denunciateci tutti”, per contestare un decreto che – a loro dire – restringe diritti e libertà fondamentali.
La tensione ha toccato l’apice in tarda mattinata, quando il clima si è surriscaldato al punto da sfiorare lo scontro fisico. Tra i più coinvolti, esponenti di Fratelli d’Italia e membri delle opposizioni. Il senatore questore Gaetano Nastri ha riportato una contusione alla spalla nel tentativo di sedare gli animi. La seduta è stata momentaneamente sospesa dal presidente del Senato Ignazio La Russa, che ha ironizzato sulla protesta ma ha poi concesso una riunione dei capigruppo.
Il contenuto del decreto e le polemiche
Il decreto introduce 14 nuovi reati e prevede inasprimenti di pena per una serie di fattispecie, tra cui borseggi, truffe agli anziani e occupazioni abusive. Il centrodestra lo definisce un provvedimento di “civiltà e legalità”, mentre il centrosinistra lo accusa di colpire le fasce deboli e ridurre lo spazio del dissenso democratico.
Giorgia Meloni, parlando di “passo decisivo”, ha ribadito che “legalità e sicurezza sono pilastri della libertà”. Anche il vicepremier Matteo Salvini, presente in Aula, ha difeso il decreto, annunciando nuovi provvedimenti in arrivo per rafforzare le forze dell’ordine e dotarle di maggiori tutele.
Il testo ha avuto un percorso travagliato: nato come disegno di legge promosso dalla Lega, ha subito modifiche sostanziali dopo le riserve espresse dal Quirinale, in particolare sui punti più controversi come il trattamento delle detenute madri e il divieto di vendita di SIM ai migranti. La soluzione trovata è stata quella di eliminare le norme più problematiche e inserire il resto in un decreto legge approvato ad aprile.
Scontri in Aula: il caso Balboni
Le tensioni sono riesplose durante la discussione finale. Alberto Balboni, senatore di Fratelli d’Italia e relatore del provvedimento, ha scatenato l’ira delle opposizioni con dichiarazioni provocatorie. Prima ha accusato, con toni ironici ma taglienti, i detrattori del decreto di “preferire la criminalità organizzata”, in riferimento alla figura di Ilaria Salis. Poi, parlando del regime carcerario del 41 bis, ha affermato:
“Mentre voi andavate a trovare terroristi e mafiosi, noi difendevamo il 41 bis in quest’Aula.”
Parole che hanno generato una reazione furiosa da parte dei senatori dell’opposizione, con Carlo Calenda tra i più infuriati, che si è avvicinato minacciosamente ai banchi della maggioranza. Solo l’intervento tempestivo di commessi e senatori questori ha evitato che la situazione degenerasse ulteriormente.
Un voto che segna una linea di frattura
Il Decreto Sicurezza rappresenta una delle leggi simbolo della maggioranza di centrodestra guidata da Meloni. Ma al tempo stesso, ha lasciato sul campo uno scontro durissimo, sia a livello istituzionale che politico, con accuse gravi da entrambe le parti. Per il centrosinistra, si tratta di un provvedimento che “umilia il Parlamento” e segna un arretramento sui diritti civili; per la maggioranza, è il segno tangibile di una linea di governo “forte contro il crimine”.
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