Omicidio di Pelicane Antonino: tre arresti per un delitto di mafia del 2003
I Carabinieri danno esecuzione a tre custodie cautelari per l’omicidio avvenuto a Palermo durante la faida mafiosa di Villabate. Indagini riaperte grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
Omicidio di Pelicane Antonino: tre arresti per un delitto di mafia del 2003.
I Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo, con il supporto dei colleghi dei Comandi Provinciali di Napoli e Cuneo, hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Palermo, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di tre persone, tutte pregiudicate e considerate esponenti della famiglia mafiosa di Villabate, di età compresa tra i 52 e i 65 anni.
Due di loro erano già detenute per altra causa. I tre sono gravemente indiziati del reato di omicidio premeditato, aggravato dall’aver agito con metodo mafioso e con finalità di agevolazione di “Cosa Nostra”.
Il provvedimento trae origine dall’attività investigativa condotta tra il 2024 e il 2025 dal Nucleo Investigativo di Palermo, avviata in seguito alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia che hanno consentito di riaprire le indagini sull’omicidio di Pelicane Antonino, rimasto irrisolto per oltre vent’anni.
Pelicane fu assassinato il 30 agosto 2003 a Palermo, nei pressi di Corso dei Mille, con diversi colpi d’arma da fuoco.
Secondo gli esiti delle indagini, il delitto sarebbe maturato nell’ambito della lunga guerra di mafia che dagli anni Ottanta fino ai primi anni Duemila vide contrapposte due fazioni della famiglia mafiosa di Villabate.
La vittima, titolare di una ferramenta nel comune di Misilmeri, pur essendo incensurata, sarebbe appartenuta all’ala mafiosa rivale di quella degli odierni indagati, storicamente legati ai corleonesi, che ne avrebbero quindi deciso l’eliminazione.
La riapertura dell’indagine, condotta sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, si basa su un quadro dichiarativo ritenuto convergente e attendibile, fornito da più collaboratori di giustizia.
Attraverso attività tecniche, tra cui intercettazioni, gli investigatori hanno ricostruito non solo la persistenza dei rapporti tra gli indagati anche a distanza di molti anni dal delitto, ma anche acquisito ulteriori elementi oggettivi ritenuti significativi rispetto alla loro presunta responsabilità, elementi che hanno portato all’emissione dell’attuale misura cautelare.
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