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L’Italia si ferma: lo sciopero generale del 28 novembre blocca trasporti, scuole, sanità e informazione.

Sciopero generale del 28 novembre: stop a trasporti, scuola, sanità e giornalisti. Proteste contro la Manovra, stipendi fermi, precariato e tagli ai servizi pubblici.

L’Italia si ferma: lo sciopero generale del 28 novembre blocca trasporti, scuole, sanità e informazione.

Il 28 novembre segna una giornata di frattura nel ritmo quotidiano del Paese. Non si sono fermati solo treni o autobus, ma un pezzo importante dell’Italia: trasporti, scuola, sanità, vigili del fuoco, studenti, cinema, audiovisivo. E, insieme a loro, anche le giornaliste e i giornalisti. Sullo sfondo, una Manovra economica contestata, il tema delle spese militari e una lunga serie di contratti scaduti, stipendi fermi, precariato e richieste di maggiori investimenti nei servizi pubblici e nella qualità dell’informazione.

Una giornata di stop contro la Manovra e il carovita

Lo sciopero generale, indetto da varie sigle del sindacalismo di base (CUB, USB, SGB, COBAS, USI-CIT e altre), coinvolge lavoratrici e lavoratori pubblici e privati dalle 21 del 27 novembre alle 21 del 28 novembre. Non è solo una protesta simbolica: in molte città significa treni ridotti, trasporti locali a singhiozzo, lezioni annullate, visite mediche rinviate.

Le ragioni sono molteplici, ma si incrociano tutte attorno ad alcuni punti comuni: la critica alla Manovra 2026, giudicata sbilanciata sull’aumento delle spese militari, e la denuncia di un definanziamento progressivo dei servizi pubblici essenziali. I sindacati chiedono più fondi per sanità, scuola, trasporti, università e pubblica amministrazione; un aumento reale dei salari e delle pensioni, capace di recuperare l’inflazione; la stabilizzazione dei precari e una seria politica industriale. Nelle loro parole ricorre spesso l’idea di una “Finanziaria del popolo”, alternativa a quella del governo.

Disagi sui trasporti: treni, autobus, metro e aerei

Per chi deve spostarsi, lo sciopero si traduce innanzitutto in disagi sui trasporti. Il personale di Trenitalia, Trenitalia Tper, Trenord e Italo ha aderito allo sciopero: i treni sono a rischio per 24 ore, con alcune fasce di garanzia (dalle 6 alle 9 e dalle 18 alle 21) in cui i servizi essenziali devono comunque essere assicurati.

Anche il trasporto pubblico locale è interessato. A Roma l’agitazione riguarda metro, autobus e tram gestiti da Atac e collegamenti periferici: il servizio è garantito solo nelle fasce protette, mentre nel resto della giornata le corse sono ridotte o cancellate. Nelle altre grandi città – da Napoli a Torino, da Bologna a Genova, fino a Venezia – bus e mezzi di superficie viaggiano in modo irregolare al di fuori delle fasce di garanzia.

Il settore aereo non è da meno: il personale degli aeroporti e delle compagnie aderisce allo sciopero, ma l’Enac stabilisce i voli tutelati. Restano quindi garantiti i voli programmati tra le 7 e le 10 e tra le 18 e le 21, i collegamenti con le isole, i voli in continuità territoriale, gli intercontinentali in arrivo e in partenza e alcuni collegamenti ritenuti di pubblica utilità. Anche sulle autostrade lo sciopero pesa: i lavoratori del settore incrociano le braccia dalle 22 del 27 novembre alle 22 del 28, con possibili rallentamenti nei servizi legati alla rete autostradale.

Scuola e università: tra risorse insufficienti e precarietà

Un altro fronte caldo è quello della scuola. Docenti e personale Ata hanno avuto la possibilità di scioperare per l’intera giornata del 28 novembre, su chiamata di sigle come Unicobas e altri sindacati di base. Nella pratica questo significa classi scoperte, orari ridotti, lezioni sospese o istituti che funzionano solo in parte, a seconda del livello di adesione.

Al centro delle rivendicazioni c’è la denuncia di risorse giudicate troppo scarse per il sistema scolastico. Si chiede più investimento sulle strutture – spesso vecchie, insicure, bisognose di manutenzione – e sui contratti del personale. Vengono contestate anche le Prove Invalsi e l’obbligo dei Pcto (Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento). La sensazione diffusa è quella di un mondo che regge a fatica, tra precarietà e carichi di lavoro crescenti.

Sanità e vigili del fuoco: la protesta senza abbandonare le emergenze

Anche sul fronte della sanità la giornata è delicata. A scioperare sono medici e personale sanitario, con modalità che lasciano però sempre garantite le prestazioni urgenti e indifferibili. A rischio, dunque, sono soprattutto visite specialistiche, esami programmati e attività non urgenti, che possono subire rinvii o cancellazioni.

Le richieste arrivano da lontano: più assunzioni, migliori condizioni di lavoro, un finanziamento stabile e adeguato del servizio sanitario nazionale. La sanità pubblica, spiegano i sindacati, ha retto negli ultimi anni solo grazie agli sforzi del personale, ma senza un cambio di passo rischia di non essere più in grado di garantire cure gratuite e universali.

I vigili del fuoco, da parte loro, incrociano le braccia per quattro ore, assicurando comunque gli interventi di emergenza. Il personale amministrativo e giornaliero, invece, si ferma per l’intero 28 novembre. Anche qui i temi sono cronici: organici sottodimensionati, riconoscimento economico insufficiente rispetto alle responsabilità e ai rischi corsi ogni giorno.

Le piazze piene: studenti, cortei e manifestazioni

Lo sciopero generale non è solo fatto di turni saltati e mezzi fermi, ma anche di piazze piene. A Roma gli studenti del Coordinamento studentesco autonomo romano – che riunisce licei storici come il Cavour e il Mamiani – hanno proclamato uno sciopero studentesco con corteo e un appuntamento in piazza della Repubblica. Nelle loro parole pesano molto le cifre della legge di bilancio: miliardi per la spesa militare contro un’istruzione pubblica che, a loro dire, continua a essere definanziata.

La protesta guarda anche oltre i confini nazionali: si denuncia la complicità dell’Italia nell’invio di armi a Israele e si lega il tema della pace a quello dei diritti sociali, chiedendo meno fondi per l’industria bellica e più investimenti per “scuole a norma, aule sicure e garanzie sul futuro”. Altri collettivi, come Osa e Cambiare Rotta, partecipano alla mobilitazione.

A Milano, invece, oltre ai treni a rischio, l’attenzione si concentra su un grande corteo cittadino che attraversa il centro: partenza da piazza Oberdan, passaggio per corso Buenos Aires e piazzale Loreto, arrivo in zona Lambrate. Per motivi di ordine pubblico viene chiusa la stazione della metro M2 di Lambrate e diverse linee di bus e tram sono state deviate o limitate. In contemporanea, la manifestazione principale a livello nazionale si svolge a Roma, in piazza Montecitorio, dove lavoratrici e lavoratori in sciopero vogliono simbolicamente “votare” la loro versione della legge di bilancio.

I giornalisti in sciopero: un contratto fermo e il ruolo dell’informazione

Dentro questa giornata di protesta si inserisce una mobilitazione particolarmente significativa: quella delle giornaliste e dei giornalisti italiani. Le redazioni – dai quotidiani alle agenzie, passando per radio, tv e piattaforme digitali – vivono una giornata di stop contro il mancato rinnovo del contratto collettivo nazionale Fnsi–Fieg, scaduto da quasi dieci anni.

I motivi sono numerosi. Prima di tutto, un contratto rimasto fermo mentre attorno tutto cambiava: il mercato dell’editoria, il digitale, i modelli di business e la stessa organizzazione del lavoro giornalistico. Nel frattempo, gli organici delle redazioni si sono assottigliati, spesso attraverso stati di crisi, licenziamenti e prepensionamenti. In parallelo è esploso l’uso di collaboratori esterni e precari pagati pochi euro a pezzo, spesso senza diritti reali e senza prospettive di assunzione.

Un altro nodo è quello salariale: secondo i dati citati dalla categoria, in dieci anni l’inflazione avrebbe eroso quasi il 20% del potere d’acquisto degli stipendi, mentre gli editori avrebbero messo sul piatto incrementi giudicati insufficienti. La proposta di ridurre ulteriormente i salari dei neoassunti, poi, viene percepita come un colpo durissimo alle nuove generazioni di giornalisti, accentuando la divisione tra chi è entrato prima e chi cerca di entrare oggi nella professione.

Per i giornalisti, però, non si tratta solo di busta paga. La loro tesi è che senza condizioni dignitose, senza un contratto equo, l’informazione stessa diventa più fragile: giornalisti sottopagati e precari sono più esposti a pressioni, ricatti, conflitti di interesse. In altre parole, la qualità del lavoro nelle redazioni finisce per riflettersi direttamente sulla qualità del diritto dei cittadini a essere informati, quello stesso diritto che l’articolo 21 della Costituzione considera fondamentale.

Non a caso viene ricordato anche l’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che nel 2023 aveva sottolineato come il contratto di lavoro sia il “primo elemento dell’autonomia” giornalistica.

Tra le richieste dei giornalisti c’è poi un tema molto attuale: il rapporto con le nuove tecnologie. La categoria chiede un contratto che tenga conto delle nuove professioni digitali, dell’uso dell’Intelligenza Artificiale in redazione e dell’equo compenso per i contenuti ceduti al web. L’idea è che l’innovazione non possa tradursi semplicemente in tagli di personale e risparmio sui costi, ma debba essere accompagnata da regole chiare, tutele e valorizzazione del lavoro umano.

Al tempo stesso, i sindacati chiedono che si investa sui giovani: non più “manovalanza intellettuale a basso costo”, ma persone messe in condizione di costruire un percorso professionale vero, con diritti, prospettive e retribuzioni adeguate.

La risposta degli editori: crisi di ricavi e necessità di modernizzare

Dal lato opposto, gli editori riuniti nella Fieg offrono una lettura diversa della situazione. Nella loro nota rivendicano di aver fatto, nell’ultimo decennio, ingenti investimenti per tenere in piedi qualità dell’informazione e occupazione giornalistica in un contesto definito “drammatico”, con ricavi dimezzati. Sostengono che i licenziamenti siano stati evitati grazie agli strumenti di settore, sempre concordati con il sindacato.

Uno degli argomenti principali è la concorrenza degli Over The Top: Google, Meta e altre piattaforme che sfruttano i contenuti editoriali trattenendo gran parte dei ricavi pubblicitari. Secondo gli editori, questo ha eroso pesantemente la sostenibilità economica delle imprese, costringendole a rivedere i costi.

Cinema e audiovisivo: la protesta di #siamoatitolidicoda

In parallelo allo sciopero generale, nel mondo del cinema e dell’audiovisivo prende corpo un’altra vertenza, quella del movimento #siamoatitolidicoda. Gli addetti alle troupe, ai set, alla produzione e alla post-produzione hanno indetto uno sciopero generale per il 28 e 29 novembre, chiedendo una partecipazione larga.

Le loro rivendicazioni assomigliano, in parte, a quelle di altri settori: stipendi considerati insufficienti rispetto alle competenze richieste, precarietà diffusa e mancanza di tutele solide. Ci sono, però, anche questioni specifiche: il peggioramento della sicurezza sui set, politiche pubbliche ritenute penalizzanti per il settore e, soprattutto, un contratto nazionale per le troupe che attende un aggiornamento da oltre venticinque anni.

Una fotografia del Paese: servizi sotto pressione, diritti da riallineare

Messa insieme, la giornata del 28 novembre non è solo una somma di scioperi. È una fotografia abbastanza nitida di un Paese in cui molti settori chiave – scuola, sanità, trasporti, cultura, informazione – chiedono di non essere sacrificati in nome di conti pubblici, vincoli di bilancio o nuove priorità militari.

I disagi per chi viaggia, per chi va a scuola o ha una visita prenotata sono reali e fastidiosi, ma, per chi sciopera, sono il prezzo di un tentativo di rimettere al centro i servizi pubblici e i diritti di chi li fa funzionare ogni giorno. I giornalisti ricordano che senza un’informazione libera e autonoma non c’è reale controllo democratico; medici e infermieri che senza risorse e personale la sanità pubblica si indebolisce; docenti e studenti che senza investimenti l’istruzione rischia di diventare un lusso.

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