Addio a Peppe Vessicchio: il maestro che ha diretto il cuore musicale dell’Italia
È morto Peppe Vessicchio, storico direttore d’orchestra e simbolo del Festival di Sanremo: aveva 69 anni. Il mondo della musica e dello spettacolo piange il Maestro della bacchetta gentile, volto amato della cultura italiana.
Addio a Peppe Vessicchio: il maestro che ha diretto il cuore musicale dell’Italia.
Si è spento all’età di 69 anni Peppe Vessicchio, uno dei volti più amati della musica italiana, direttore d’orchestra, arrangiatore, autore, divulgatore e figura iconica del Festival di Sanremo. Il maestro è deceduto all’ospedale San Camillo di Roma in seguito alle complicazioni di una polmonite interstiziale. La notizia ha lasciato sgomento il mondo della musica e dello spettacolo, ma anche un intero Paese che lo aveva adottato come simbolo di competenza, ironia, misura ed eleganza.
La sua scomparsa arriva quasi in punta di piedi, così come era solito muoversi lui, con discrezione e una gentilezza spontanea che lo rendeva immediatamente riconoscibile. L’Italia perde un artista che non ha solo diretto orchestrazioni, ma anche emozioni collettive, trasformandosi nel tempo in una figura familiare come poche.
Una vita dedicata alla musica: dalle radici napoletane al palcoscenico nazionale
Nato a Napoli il 17 marzo 1956, Giuseppe Vessicchio aveva intrapreso il suo percorso musicale giovanissimo, muovendosi tra collaborazioni con alcuni grandi interpreti della scena partenopea e figure di riferimento della musica leggera come Nino Buonocore, Peppino di Capri, Edoardo Bennato, Peppino Gagliardi e Lina Sastri.
La sua carriera prese velocemente slancio grazie all’incontro con Gino Paoli, con cui compose successi come Ti lascio una canzone, Cosa farò da grande e Coppi. C’era già, in questi primi lavori, quel tratto distintivo che avrebbe definito tutta la sua opera: una scrittura musicale raffinata, arricchita da una sensibilità melodica unica.
Meno nota, ma parte importante della sua biografia, la sua breve esperienza nel gruppo comico-musicale I Trettré, all’epoca attivi come I Rottambuli. Suonava chitarra e pianoforte, ma lasciò la formazione prima del grande successo, scegliendo di dedicarsi totalmente alla musica. Una scelta che avrebbe cambiato per sempre la storia del panorama musicale italiano.
Sanremo, la sua casa: la bacchetta più amata dagli italiani
A partire dal 1990, il Festival di Sanremo divenne la sua casa artistica e simbolica. Peppe Vessicchio entrò all’Ariston conquistando gradualmente pubblico, colleghi e artisti. Era il maestro che tutti volevano dirigesse la propria canzone: autorevole senza essere severo, ironico senza mai eccedere, sempre capace di mettere i cantanti a proprio agio e di arricchire gli arrangiamenti con quella sua impronta inconfondibile.
Non a caso conquistò quattro vittorie come direttore d’orchestra:
- 2000 con gli Avion Travel,
- 2003 con Alexia,
- 2010 con Valerio Scanu,
- 2011 con Roberto Vecchioni e il brano Chiamami ancora amore, una delle sue direzioni più celebri.
Vessicchio non era solo un direttore: era un rito collettivo.
La frase “Dirige l’orchestra il maestro Beppe Vessicchio” divenne parte dell’immaginario popolare, un momento irrinunciabile del festival. Quando, nel 2022, fu costretto a fermarsi per il Covid, la sua assenza fu avvertita come quella di un parente che manca al pranzo di Natale.
Quando tornò in scena, l’Ariston lo accolse con una standing ovation calorosa, quasi un abbraccio di un Paese intero. L’anno successivo si ripeté la magia: Vessicchio non era previsto in scaletta, ma ricomparve a sorpresa per dirigere Destinazione paradiso insieme a Enrico Melozzi. Anche allora l’emozione fu enorme.
L’amore del pubblico e dei colleghi
L’affetto verso Vessicchio non era solo popolare, ma profondamente trasversale nel mondo della musica e dello spettacolo. Artisti come Giorgio Morandi, Gino Paoli, Ron, Rita Pavone, Fiorello, Claudio Baglioni, Luciana Littizzetto, Amadeus, Fazio, Fedez e molti altri hanno espresso messaggi di cordoglio, parlando non solo del professionista, ma dell’uomo.
Ron, tra i più colpiti, ha rivelato che Vessicchio stava lavorando con lui fino agli ultimi giorni su un nuovo progetto, Ecco che incontro l’anima, che sarebbe dovuto partire nel marzo 2026: “Lui componeva anche dall’ospedale”, ha raccontato, con la voce spezzata.
Luciana Littizzetto ha ricordato i momenti di comicità condivisi, compreso il celebre episodio in cui gli tagliò la barba a Sanremo, un momento entrato nella storia del festival.
Anche la politica ha dedicato parole sentite:
- Meloni: “Era casa, era Italia”.
- La Russa: “Ha unito generazioni”.
- Conte: “Il suo sorriso accompagnava la musica della nostra memoria collettiva”.
Un musicista colto ma popolare: la doppia anima del Maestro
Vessicchio aveva il dono raro di rendere accessibile ciò che, per molti, è complesso. Credeva nella diffusione della cultura musicale, e non si stancava di spiegare che la musica “non è solo suono, ma una forma di armonia che fa bene alla vita”.
Il suo libro La musica fa crescere i pomodori divenne un best seller proprio per questa sua capacità di unire rigore tecnico e narrazione popolare.
Dirigeva al Cremlino, ma partecipava anche a programmi per ragazzi, conduceva orchestre sinfoniche, ma compariva con autoironia in show televisivi come Amici, Tú sí que vales, This Is Me o Pesci piccoli 2, sempre senza perdere un grammo della sua eleganza.
Si definiva spesso “un artigiano della musica”, ma era molto di più: era un divulgatore, un maestro di stile, un ambasciatore della cultura musicale italiana nel mondo.
Una carriera monumentale
La sua produzione è sterminata.
Vessicchio ha collaborato con alcuni fra i più grandi artisti del panorama italiano: Ornella Vanoni, Zucchero, Bocelli, Syria, Fiordaliso, Max Gazzè, Ivana Spagna, Elio e le Storie Tese, Avion Travel, Vecchioni, e molti altri.
Ha diretto orchestre in mondovisione dal Cremlino di Mosca, al Teatro Smeraldo, ha inciso album come I Love You More con Mario Biondi, ha curato produzioni televisive storiche come Buona Domenica, Viva Napoli, Note di Natale, Va’ pensiero.
È stato direttore artistico dello Zecchino d’Oro, socio attivo di Trenta ore per la vita, protagonista del progetto Rockin’1000, docente, giurato, autore, maestro.
Era, semplicemente, una pietra miliare della nostra cultura musicale.
Un’icona pop diventata patrimonio collettivo
Nel 2016 il web lo celebrò con l’hashtag #uscitevessicchio, diventato virale e da allora ricorrente.
Una parodia affettuosa, un tributo ironico che lui stesso accoglieva con stupore e un pizzico di timidezza: “Non so spiegare questo affetto, posso solo dire che cerco di trasmettere amore per ciò che faccio”, dichiarava.
La sua barba, il suo modo di fare composto, il suo sorriso appena accennato sono diventati simboli riconoscibili persino da chi non segue abitualmente il mondo della musica.
Era un maestro, ma anche un fenomeno pop.
Un caso rarissimo.
Gli ultimi progetti e il ricordo che resta
Fino agli ultimi giorni parlava di musica, lavorava a nuovi arrangiamenti, progettava un tour, un libro, nuove collaborazioni. La sua è stata una vita vissuta nella musica e per la musica.
La famiglia ha chiesto riservatezza. I funerali, come annunciato, si terranno in forma privata.
La sua eredità, però, non potrà mai essere privata: appartiene a tutti.
Cosa resta di Peppe Vessicchio
Resta la sua eleganza.
Resta la sua ironia.
Resta la sua capacità di trasformare un gesto semplice — un movimento di bacchetta, uno sguardo rassicurante — in un’esperienza collettiva.
Resta la sensazione che, con lui sul podio, tutto fosse più armonico, più preciso, più italiano.
Resta la sua musica.
Resta l’immagine del maestro che, con un sorriso gentile, dà il via all’orchestra.
Resta il suo nome, destinato a diventare leggenda.
E resta un vuoto che suona come un’ultima, lunga pausa.
Una pausa colma di gratitudine.
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