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Pamela Genini: le violenze, le minacce di morte e le omissioni di soccorso

Le nuove indagini sul femminicidio di Pamela Genini rivelano un passato di violenze ignorate e omissioni che avrebbero potuto salvarla. La Procura di Milano analizza gli errori procedurali e i limiti del sistema di protezione delle vittime.

Pamela Genini: le violenze, le minacce di morte e le omissioni di soccorso

Proseguono le indagini sull’omicidio di Pamela Genini, la 29enne uccisa dal compagno Gianluca Soncin a Milano il 14 ottobre. La Procura sta lavorando per ricostruire l’intera rete di violenze e omissioni che, nel corso dell’ultimo anno, avrebbe potuto portare a un intervento preventivo.

Le indagini

L’inchiesta della Procura di Milano coordinata dalla pm Alessia Menegazzo e dall’aggiunta Letizia Mannella sta analizzando mesi di comportamenti persecutori e minacce. Gli investigatori ritengono che Soncin avesse premeditato l’omicidio da almeno una settimana, procurandosi una copia delle chiavi dell’abitazione della vittima. L’uomo è accusato di omicidio aggravato da premeditazione, crudeltà, futili motivi e stalking.

Durante le perquisizioni nell’abitazione di Cervia, gli agenti hanno sequestrato una decina di coltelli simili a quello usato per l’agguato, alcune pistole scacciacani e un mazzo di chiavi compatibile con quello utilizzato per entrare nella casa di via Iglesias. Gli inquirenti stanno anche esaminando computer e dispositivi elettronici per verificare eventuali tracce di pianificazione o messaggi di minaccia.

Il gip Tommaso Perna ha convalidato il fermo e disposto la custodia cautelare di Soncin in carcere. Nelle 13 pagine dell’ordinanza si legge che Soncin ha messo in atto una spedizione punitiva pianificata da tempo e che la sua “decisione di uccidere” era maturata “ben prima dell’ingresso nell’appartamento”, mossa da un pensiero ossessivo: “o con me o con nessun altro”.

Le omissioni

L’inchiesta ha riportato l’attenzione su un episodio avvenuto più di un anno prima, che avrebbe dovuto attivare il codice rosso. Nel settembre 2024 Pamela si era presentata al pronto soccorso di Seriate, in provincia di Bergamo, con una mano fratturata e diversi traumi. Aveva raccontato di essere stata buttata a terra e presa a calci e pugni dal compagno. I medici avevano compilato il questionario di valutazione del rischio: tre risposte positive su cinque indicavano un pericolo concreto di violenza reiterata.

Il protocollo, in questi casi, prevede la trasmissione immediata della segnalazione alle procure competenti. Tuttavia, nessun documento arrivò né a Bergamo né a Ravenna, dove la coppia viveva. L’episodio fu archiviato come non grave. Anche l’intervento dei Carabinieri, chiamati a Cervia per una lite domestica, non ebbe seguito giudiziario.

Secondo quanto emerge ora, quella mancata attivazione del codice rosso rappresenta uno dei punti chiave dell’indagine. La Procura milanese intende capire se ci sia stata una sottovalutazione del rischio o una falla procedurale che ha impedito di mettere in sicurezza la giovane donna.

L’aggressione del 2024 non fu un caso isolato. Nel corso della relazione, Soncin avrebbe picchiato, minacciato e umiliato più volte la compagna. Secondo testimonianze raccolte, aveva tentato di strangolarla, le aveva puntato una pistola finta al ventre e aveva manifestato un atteggiamento possessivo e ossessivo, accompagnato da uso abituale di cocaina e oppiacei.

Durante una vacanza all’Isola d’Elba, avrebbe tentato di buttarla giù da un terrazzo per una lite banale. Dopo quell’episodio, la violenza sarebbe diventata sistematica: schiaffi, pugni, insulti, pedinamenti. La vittima, per paura, non aveva mai sporto denuncia, né contro di lui né per le aggressioni subite.

Anche il 9 maggio scorso, cinque mesi prima del delitto, la polizia era intervenuta in via Iglesias dopo una chiamata di Pamela. L’intervento si concluse senza esito.  Non risultarono denunce o segnalazioni pregresse nel sistema informatico delle forze dell’ordine.

Le testimonianze

A ricostruire il clima di paura è stato l’ex fidanzato e amico di Pamela, Francesco Dolci, che negli ultimi mesi aveva mantenuto un contatto costante con lei. È stato lui a ricevere gli ultimi messaggi di terrore della vittima.

Dolci ha riferito agli investigatori di aver assistito, nel tempo, a un’escalation di violenza: Minacciava la sua famiglia, la madre, la sorella incinta. Aveva iniziato a seguirla, a controllarla, a isolarla. Pamela voleva scappare, stava organizzando la fuga. La giovane, secondo il racconto, aveva già pianificato di lasciare l’Italia per ricominciare all’estero, ma temeva che una denuncia potesse scatenare ulteriori ritorsioni.

La madre di Pamela ha parlato con parole di dolore ma anche di lucidità: “Per tutto quello che ha fatto quel mostro a mia figlia deve pagare, ma pagare. L’ha fatta soffrire tanto”.

Il profilo dell’indagato

Gianluca Soncin, 52 anni, originario di Biella e residente a Cervia, è un piccolo imprenditore nel settore del pellame. Aveva già avuto un precedente per maltrattamenti in famiglia circa quindici anni fa. Le indagini stanno cercando di delineare un quadro psicologico e comportamentale coerente con la lunga serie di minacce e atti persecutori.

Durante l’interrogatorio di convalida, avvenuto il 16 ottobre, l’uomo si è avvalso della facoltà di non rispondere. Secondo la sua avvocata d’ufficio, Simona Luceri, “non è ancora pienamente lucido, appare confuso e dimesso”.

Il gip ha motivato la custodia cautelare in carcere anche con il rischio di fuga e di reiterazione del reato. Nelle motivazioni si legge che la “follia omicidiaria” dell’indagato potrebbe rivolgersi contro altre persone, tra cui l’ex fidanzato della vittima o i familiari di lei, già oggetto di minacce.

Le verifiche della Procura

La Procura di Milano, diretta da Marcello Viola, ha disposto una serie di accertamenti tecnici e l’acquisizione di documenti e tabulati telefonici. L’obiettivo è ricostruire nel dettaglio l’intera catena di omissioni e interventi mancati che, nel corso dell’ultimo anno, avrebbero potuto cambiare l’esito della vicenda.

Nel frattempo, la pm Menegazzo ha incaricato l’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Milano, diretto dalla dottoressa Cristina Cattaneo, di completare gli accertamenti medico-legali e psicologici. I risultati serviranno anche per valutare il grado di consapevolezza dell’imputato al momento dei fatti.

Un sistema sotto esame

Il caso Genini ha riacceso il dibattito sull’efficacia dei protocolli di protezione delle vittime di violenza domestica. L’assenza di denunce non può giustificare, secondo gli esperti, la mancanza di interventi quando esistono referti medici, testimonianze e segnalazioni indirette.

Gli inquirenti stanno verificando se l’omissione nella trasmissione del referto del 2024 sia riconducibile a un errore individuale o a una disfunzione sistemica. L’obiettivo, oltre a chiarire le responsabilità penali di Soncin, è comprendere se ci siano state falle istituzionali nella catena di protezione che avrebbe dovuto garantire sicurezza a Pamela Genini. L’inchiesta prosegue.

 

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