Ex Ilva, scoppia la rivolta degli stabilimenti del Nord: a Genova occupazione, corteo e traffico in tilt. “Mille posti a rischio: è la fine della siderurgia italiana”.
Ex Ilva Genova, scatta l’occupazione: mille posti a rischio e stabilimenti del Nord verso la chiusura.
Ex Ilva, scoppia la rivolta degli stabilimenti del Nord: a Genova occupazione, corteo e traffico in tilt. “Mille posti a rischio: è la fine della siderurgia italiana”.
L’assemblea dei lavoratori dell’ex Ilva di Genova è durata solo pochi minuti. Poi la decisione arrivata all’unanimità: occupare lo stabilimento, avviare un presidio permanente e scendere immediatamente in strada. Si apre così una nuova fase della mobilitazione contro il piano del Governo che, secondo i sindacati, porterebbe alla chiusura degli impianti del Nord e all’aumento della cassa integrazione straordinaria fino a 6.000 unità.
Corteo verso Cornigliano e blocco del traffico
La mattinata si è trasformata rapidamente in una protesta a oltranza. Gli operai, a bordo dei mezzi da cantiere, hanno lasciato i cancelli dello stabilimento e raggiunto via Guido Rossa, dove il traffico è stato completamente bloccato. Il corteo è poi arrivato nella piazza della stazione ferroviaria di Genova Cornigliano, dove i lavoratori hanno montato un gazebo per coordinare la mobilitazione.
Secondo i sindacati, sono mille i posti di lavoro a rischio solo a Genova: “con l’annuncio del Governo – denuncia Nicola Apicella, coordinatore Fiom-Cgil – si produce poco acciaio a Taranto, e quel poco viene venduto lì per fare cassa. Ovviamente gli stabilimenti del Nord, Genova in primis, poi Novi Ligure, eccetera, non avranno più prodotto da lavorare e quindi chiudono. Vuol dire che a Genova si perdono mille posti di lavoro”.
“Chiude la siderurgia italiana”: l’allarme dei sindacati
Il fronte sindacale è compatto e parla di una crisi senza precedenti. “Non è più una questione di qualche cassintegrato in più o in meno – afferma Apicella – qui sta chiudendo la siderurgia italiana”.
Gli fa eco Armando Palombo, storico delegato Fiom della ex Ilva di Cornigliano, insieme a Stefano Bonazzi, segretario generale Fiom-Cgil Genova: “dal primo gennaio saranno in sei mila a livello nazionale a trovarsi in cassa integrazione e dal primo di marzo chiuderanno tutti gli impianti. Chiediamo alle istituzioni locali di non stare in silenzio e di adoperarsi per contrastare la decisione del Governo e impedire la chiusura di Cornigliano”.
Il malcontento è esploso dopo il fallimento dell’incontro a Palazzo Chigi, dove i sindacati speravano in un passo indietro del Governo. L’esito è stato invece definito “drammatico”.
La risposta del Governo: “Nessun aumento della Cig, investiamo in formazione”
Alle accuse replica il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che respinge in blocco le ricostruzioni sindacali. “Abbiamo detto con chiarezza che non c’è alcun aumento della cassa integrazione, ma piuttosto c’è un forte, significativo investimento sulla formazione con l’intenzione di concentrare le risorse proprio sulla manutenzione degli impianti ai fini della maggiore tutela, come doveroso, dei nostri lavoratori che nel contempo dovranno seguire dei corsi di formazione per essere meglio preparati, anche professionalmente, alle nuove tecnologie green che si intendono installare” ha dichiarato il ministro.
Il Governo insiste: nessuna chiusura è prevista, il dialogo con le organizzazioni sindacali resta aperto, e la priorità dichiarata è “la centralità del lavoro”.
La posizione dei commissari di Acciaierie d’Italia: “Niente aumento della Cig”
Una nota dei commissari straordinari di Acciaierie d’Italia ribadisce la linea dell’esecutivo: nessun aumento della CIG oltre le attuali 4.450 unità; i 1.550 lavoratori di cui si è parlato non sarebbero destinati alla cassa integrazione, ma a un percorso di formazione e riqualificazione di 93.000 ore di formazione, equivalente a presenza lavorativa a tutti gli effetti.
I commissari chiedono di “rassicurare tutto il personale” e smentiscono ogni ricostruzione che parli di un uso ulteriore della CIG.
Palombella (Uilm): “È un piano di morte, dal primo marzo si chiude tutto”
Le rassicurazioni non convincono i sindacati. Il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, è durissimo: “è un piano di morte. Dal primo marzo gli stabilimenti chiuderanno tutti. Ci hanno detto chiaramente che non ritireranno il piano. Siamo al capolinea”.
Palombella spiega che la proposta governativa per i 1.550 lavoratori è “incomprensibile”, perché non si capisce quale futuro possa esserci se gli impianti resteranno fermi. “Reagiremo con scioperi e manifestazioni. I lavoratori non fanno violenza, difendono il loro posto di lavoro”.
Rottura definitiva: sciopero di 24 ore e presidi permanenti
Il confronto si è rotto bruscamente il 18 novembre. I sindacati hanno proclamato lo sciopero generale di 24 ore e assemblee straordinarie in tutti gli stabilimenti.
A Genova la protesta è diventata subito concreta: occupazione dello stabilimento; corteo con i mezzi da cantiere; blocco di via Guido Rossa e presidio permanente alla stazione di Cornigliano.
Gli operai attendono ora la mobilitazione di Novi Ligure e degli altri impianti italiani.
Scenari futuri: in bilico migliaia di posti di lavoro
La tensione resta altissima. Sul tavolo restano tre questioni decisive: il futuro dei 6.000 lavoratori previsti in cassa integrazione secondo i sindacati, la chiusura degli impianti del Nord, che il Governo smentisce, ma che le rappresentanze dei lavoratori considerano imminente e il processo di decarbonizzazione, che richiederà anni e che, se non accompagnato da investimenti e politiche industriali solide, rischia di svuotare definitivamente la siderurgia italiana.
La battaglia dell’ex Ilva torna così al centro del dibattito nazionale, con Genova in prima linea nel tentativo di evitare quello che i sindacati definiscono senza mezzi termini “un disastro sociale e industriale senza precedenti”.
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