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Verona, “La bottega della caffè” con Michele Placido inaugura la stagione 2021 del Grande Teatro

Prima serata il 19 ottobre al Teatro Nuovo

Verona, sarà Michele Placido con ‘La Bottega del Caffè’ di Carlo Goldoni a inaugurare la stagione 2021 del Grande Teatro. La prima sarà martedì 19 ottobre alle ore 20.45 al Teatro Nuovo. Dopo un anno e mezzo di stop, la rassegna organizzata dal Comune di Verona, insieme al Teatro Stabile di Verona, riparte con il nuovo cartellone.

Lo spettacolo d’apertura è diretto da Paolo Valerio e prodotto dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, con GoldenArt e Teatro della Toscana – Teatro Nazionale. E dopo il debutto al Rossetti di Trieste, da Verona inizia la tournée vera e propria. Repliche fino a domenica pomeriggio. I biglietti sono in vendita al Teatro Nuovo, al Box Office di via Pallone e online. Per entrare in sala occorre mostrare il green pass e indossare la mascherina.

Giovedì 21 ottobre, alle 18, gli attori incontreranno il pubblico, al Teatro Nuovo. A condurre l’incontro Carlo Mangolini, direttore artistico degli Spettacoli del Comune di Verona, e Alessandra Galetto, giornalista veronese. L’ingresso è libero, sempre nel rispetto delle misure antiCovid.

La 35^ edizione del cartellone invernale prevede 42 rappresentazioni dalla prossima settimana a fine gennaio. Official partner l’azienda vinicola Tommasi.

“Siamo felici di tornare al Nuovo con la tradizionale stagione comunale del Grande Teatro – dichiara l’assessore alla Cultura Francesca Briani -. Lo facciamo in un momento in cui i teatri tornano alla capienza piena e quindi alla normalità, pur tenendo conto delle preoccupazioni legate ad alcune fasce di pubblico, che vanno rassicurate e accompagnate in questa nuova fase post pandemia. Lo staff del teatro, e quello comunale congiuntamente, hanno lavorato per garantire la massima sicurezza a tutti, affinché finalmente si torni ad abitare i luoghi della cultura, cibo per l’anima di cui, oggi più che mai, tutti abbiamo bisogno”.

“Quella che andiamo ad inaugurare – prosegue il direttore artistico Carlo Mangolini – è una stagione di qualità, con tanti protagonisti della scena amati dal pubblico. A riempire la prima alzata di sipario un personaggio come Michele Placido, che incarna al meglio questa forte empatia con gli spettatori di tante diverse generazioni, grazie alla lunga carriera costellata da continui successi. Questa volta è alla prese con uno dei testi goldoniani più rappresentati, diretto da un veronese doc come Paolo Valerio, che torna nella sua città da protagonista, sia come regista che come Direttore del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia”.

Rappresentata per la prima volta nel 1750, “La Bottega del caffè” è una riuscita commedia corale di “carattere e di intrigo”. È Goldoni stesso, nei Memoires, a definire don Marzio “un chiacchierone maldicente, molto originale e comico, uno di quei flagelli dell’umanità che preoccupa tutti quanti, e infastidisce i frequentatori abituali del caffè”.

“Don Marzio – sottolinea Piermario Vescovo, attuale direttore Artistico del Teatro Stabile di Verona – inventa e calunnia, ma finisce con lo scoprire verità nascoste. In particolare, verso il finale è lui a rivelare al capo dei birri il luogo in cui il biscazziere Pandolfo poco prima gli ha confessato di nascondere le carte truccate, così da causarne l’arresto, salvando dalla rovina il mercante Eugenio, imperterrito giocatore. Nelle ultime scene don Marzio è solo, al centro del campiello, e i vari personaggi compaiono alternandosi dalle finestre e dalle porte degli edifici che si affacciano sulla piazzetta, protestando uno dopo l’altro per gli equivoci e le false dicerie, ma in realtà facendo di lui il capro espiatorio delle loro colpe e omissioni”.

Moderna e complessa, ricca di ironie e acutezze, la commedia unisce una sapiente scrittura drammaturgica corale all’italiano settecentesco parlato, superando la stessa caratterizzante unità d’ambiente, quella di un campiello veneziano, dalla mattina al tramonto, in uno spaccato di vita quotidiana, che mette insieme lo spazio aperto di un caffè e quello chiuso di una casa da gioco clandestina.

“Accogliamo appieno e portiamo sulla scena tutta la vitalità e il divertimento della commedia – dice il regista Paolo Valerio da alcuni mesi direttore artistico del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia –, la comprensione che l’autore mostra per l’uomo di cui ritrae con sottigliezza le virtù e i lati oscuri, il suo amore viscerale per il teatro, per la scrittura, per gli attori, sulle cui potenzialità costruiva personaggi universali. Di questo testo meraviglioso è protagonista un microcosmo di persone che gravitano in un campiello veneziano. Attorno a don Marzio, il nobile napoletano che osserva questo piccolo mondo e con malizia ne intriga i destini, figure tutte importanti, ognuna ambigua e interessante: una coralità in cui la pièce trova il fulcro del suo impeccabile meccanismo, che imprime ritmi vorticosi alle interazioni fra i personaggi. Cosa succede? Nulla di clamoroso: qualcuno si rovina al gioco, due amanti si ritrovano e si perdonano, qualche sogno s’infrange ma soprattutto si spettegola. È Venezia, come dice don Marzio, un paese in cui tutti vivono bene, tutti godono la libertà, la pace, il divertimento”.

Trama. Il caffè gestito da Ridolfo funge da osservatorio per il maldicente don Marzio. Sua vittima prediletta è Eugenio, giovane mercante che ha perso enormi somme nella bisca di Pandolfo giocando col falso conte Leandro, in realtà un truffatore di nome Flaminio. Non risparmia nemmeno Vittoria, moglie di Eugenio, alla quale racconta la frottola di una relazione di suo marito con la ballerina Lisaura, corteggiata invece da Flaminio. Quando poi Placida, moglie di Flaminio, giunge da Torino alla ricerca del marito, don Marzio la fa passare per una nota avventuriera. Finché i nodi vengono tutti al pettine. E don Marzio finirà con l’essere isolato da tutti, escluso da una società dai tanti lati oscuri.

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