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Trump e Xi trovano l’intesa sui dazi: accordo quadro raggiunto, resta solo la firma.

Dopo 48 ore di negoziati a Londra, Stati Uniti e Cina siglano un’intesa preliminare: dazi invariati, apertura reciproca su terre rare, chip e visti per studenti. Ma Pechino resta cauta e i mercati restano scettici.

Trump e Xi trovano l’intesa sui dazi: accordo quadro raggiunto, resta solo la firma.

Dopo 48 ore di negoziati a Londra, Stati Uniti e Cina siglano un’intesa preliminare: dazi invariati, apertura reciproca su terre rare, chip e visti per studenti. Ma Pechino resta cauta e i mercati restano scettici.

Londra Dopo settimane di tensioni e una maratona negoziale di 48 ore, Stati Uniti e Cina hanno raggiunto un’intesa sul quadro generale di un nuovo accordo commerciale. A comunicarlo è stato il presidente americano Donald Trump, che ha parlato di un’intesa ormai “conclusa”, sebbene manchi ancora la firma ufficiale sua e del presidente cinese Xi Jinping. Tuttavia, le ambiguità nella comunicazione americana e la prudenza espressa da Pechino lasciano aperte molte domande sulla reale portata dell’accordo.

Un’intesa ancora “in divenire”

L’accordo, raggiunto durante un round di colloqui a Londra, rappresenta la prosecuzione della tregua commerciale siglata a Ginevra lo scorso maggio, ma con contenuti ancora poco definiti. La Casa Bianca ha parlato di una “vittoria per entrambi i Paesi”, ma fonti vicine ai negoziati avvertono: si tratta di un’intesa di principio, un quadro generale su cui dovranno essere costruiti i veri contenuti operativi.

“Il nostro accordo con la Cina è concluso, soggetto all’approvazione finale da parte del presidente Xi e mia”, ha scritto Trump sulla sua piattaforma Truth Social. Secondo quanto affermato dal presidente statunitense, la Cina inizierà a fornire “tutti i magneti e le terre rare necessarie”, mentre gli Stati Uniti rimuoveranno alcune restrizioni all’export e riapriranno le porte ai visti per gli studenti cinesi.

Eppure, proprio sulle tariffe – il nodo centrale della disputa commerciale – le dichiarazioni di Trump appaiono contraddittorie. Il presidente ha parlato di un totale del 55% di dazi imposti alla Cina, lasciando intendere un possibile aumento, ma la Casa Bianca ha poi chiarito che quella cifra rappresenta la somma delle varie componenti tariffarie già in vigore: i 30% sui beni cinesi, i 20% legati al fentanyl e il 10% delle tariffe base applicate universalmente.

Dazi invariati, mercati scettici

I funzionari statunitensi e cinesi hanno confermato che i livelli tariffari resteranno quelli fissati a Ginevra: il 30% sui prodotti Made in China e il 10% sui beni americani esportati in Cina. Nessun passo avanti dunque, ma nemmeno un ritorno all’escalation. È uno status quo che tranquillizza temporaneamente, ma che non soddisfa appieno gli investitori.

Le borse europee hanno reagito con cautela alla notizia: Milano ha chiuso in lieve calo (-0,07%), mentre Wall Street ha registrato rialzi modesti, sotto lo 0,5%. Per gli analisti, l’accordo quadro rappresenta un segnale di stabilità, ma è troppo generico per scatenare entusiasmo. “Molto tempo nei colloqui è stato speso con i traduttori. Alla fine, il risultato è il mantenimento dello status quo”, ha osservato un analista citato da Bloomberg.

Minerali critici e chip al centro dell’intesa

Uno dei punti cardine dell’accordo riguarda le cosiddette terre rare, fondamentali per l’industria automobilistica, elettronica e della difesa. La Cina ha accettato di alleggerire i controlli sull’export di questi minerali, ma con un’importante clausola: le licenze di esportazione concesse agli acquirenti americani avranno durata semestrale. Un modo, secondo fonti citate dal Wall Street Journal, per mantenere leva negoziale e possibilità di rappresaglia in caso di nuove tensioni.

In cambio, gli Stati Uniti si sarebbero impegnati ad allentare alcune delle restrizioni sull’export di tecnologie avanzate, inclusi motori a reazione, componenti industriali e materiali strategici come l’etano, fondamentale per la produzione di plastiche.

Tra visti e diplomazia economica

Un altro fronte dell’accordo riguarda l’accesso degli studenti cinesi alle università americane. Trump ha dichiarato che i visti saranno garantiti, sottolineando il valore educativo e culturale degli scambi. È una concessione simbolicamente forte, che mira a stemperare il clima di chiusura dell’amministrazione americana nei confronti della Cina, e potrebbe servire anche come merce di scambio per negoziati futuri.

Intanto, gli occhi dei negoziatori statunitensi si spostano su altri fronti: entro luglio scadrà la tregua di 90 giorni annunciata da Trump dopo il “giorno della Liberazione”, lasciando spazio a nuove potenziali pressioni su Europa, Canada e altri partner commerciali. Ma su questo fronte la Casa Bianca appare più cauta. Il segretario al Commercio Howard Lutnick ha ammesso che l’Europa resta “il partner più spinoso”, in un contesto reso complesso dall’assenza di una leadership unitaria a Bruxelles.

Xi e Trump, attesa per la firma

A oggi, l’intesa resta appesa all’approvazione finale dei due leader. “Con Xi lavoreremo insieme per aprire la Cina al commercio americano”, ha promesso Trump, descrivendo un futuro di cooperazione. Ma da Pechino le reazioni sono meno entusiastiche. Il viceministro del Commercio Li Chenggang ha parlato di “accordo in linea di principio”, suggerendo che molto resta ancora da definire.

Il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha salutato positivamente l’intesa, auspicando che possa fare da apripista a un disgelo anche con l’Europa. Ma per ora, l’unica certezza è che la guerra commerciale tra le due maggiori economie del mondo è sospesa, non conclusa. La pace, se verrà, avrà bisogno di molto più di una dichiarazione trionfalistica su un social network.

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