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Trattori a Bruxelles, il Mercosur slitta a gennaio: von der Leyen congela la firma.

Proteste e scontri nel quartiere Ue durante il Consiglio europeo. Italia e Francia chiedono più garanzie per l’agricoltura, Lula pressa: “serve una decisione”.

Trattori a Bruxelles, il Mercosur slitta a gennaio: von der Leyen congela la firma.

Il vertice del Consiglio europeo del 18 dicembre a Bruxelles si è trasformato in un crocevia ad alta tensione per la politica commerciale dell’Unione. Mentre i leader dei Ventisette discutevano di Ucraina, bilancio e competitività, fuori dai palazzi istituzionali il rumore dei clacson e l’odore acre dei fumogeni hanno reso concrete le fratture interne sul trattato di libero scambio tra Ue e Mercosur. Alla fine, la scelta è stata una sola: rinviare. Ursula von der Leyen ha comunicato ai capi di Stato e di governo lo slittamento a gennaio della firma che, nelle intenzioni iniziali, avrebbe dovuto arrivare il 20 dicembre.

La decisione di von der Leyen: firma congelata, si riparte a gennaio

Il rinvio non è un semplice dettaglio di calendario. È l’ammissione che, senza un supplemento di garanzie e senza una gestione politica più accorta, l’intesa rischia di arenarsi proprio nel momento in cui Bruxelles la considera strategica per rafforzare la propria “autonomia” economica e ridurre dipendenze esterne. Secondo ricostruzioni convergenti, la pressione di Italia e Francia è stata determinante per spostare l’asticella in avanti, con l’obiettivo di guadagnare settimane utili a “raffreddare” le piazze agricole e limare i punti più contestati.

Trattori e lacrimogeni nel quartiere Ue: la protesta degenera

La giornata è stata segnata da una mobilitazione agricola imponente nel cuore del “quartiere europeo”. Le stime oscillano tra circa 7.000 manifestanti e un migliaio di trattori arrivati in città, ben oltre quanto inizialmente autorizzato dalle autorità. In alcune fasi la protesta è degenerata con lanci di oggetti, vetrate danneggiate, scontri con la polizia, interventi con idranti e gas lacrimogeni. Il clima ha pesato come una colonna sonora sul confronto politico dentro l’Europa Building.

Perché il Mercosur spacca l’Europa: industria contro campagne

Il dossier divide in modo netto due sensibilità europee. Da un lato i Paesi e i governi più orientati all’export industriale vedono nell’accordo una leva per aprire mercati e consolidare catene di fornitura, in un contesto globale attraversato da nuove barriere e rischi di guerre dei dazi. Dall’altro, la parte più esposta del mondo agricolo teme che l’ingresso di prodotti sudamericani a prezzi competitivi — in particolare carne e zucchero — finisca per comprimere margini e mettere in crisi aziende già sotto pressione tra costi energetici, transizione ambientale e incertezza sui fondi della Politica agricola comune.

Italia in equilibrio: “non contrari”, ma servono risposte agli agricoltori

La linea italiana si è mossa su un crinale: apertura di principio e freno operativo. Palazzo Chigi ha ribadito la disponibilità a sottoscrivere l’intesa, ma solo “non appena verranno fornite le risposte necessarie agli agricoltori”, legando quindi il via libera a tutele e meccanismi di salvaguardia che la Commissione può definire in tempi rapidi. È una posizione che prova a tenere insieme due esigenze: evitare uno strappo con Bruxelles e con i partner favorevoli, ma non consegnare al malcontento agricolo un bersaglio politico perfetto.

Macron sulle barricate: la Francia punta a più garanzie

Se Roma chiede tempo, Parigi alza la soglia politica. Emmanuel Macron ha insistito pubblicamente sul fatto che il testo “non è pronto” e che non si può sacrificare il settore agricolo in nome di un accordo commerciale. La Francia, anche per ragioni interne, teme di vedere l’intesa trasformarsi in un detonatore sociale e in un assist alle opposizioni. Il risultato è un braccio di ferro che, nel metodo, ricorda altri dossier europei: un compromesso tecnico non basta, serve un compromesso politico “vendibile” sul fronte domestico.

Berlino e Madrid spingono: la credibilità commerciale dell’Ue in gioco

Sul versante opposto, Germania e Spagna hanno continuato a premere per non perdere l’attimo. L’argomento è doppio: economico e geopolitico. Economico, perché il Mercosur viene letto come una grande opportunità per esportazioni europee e per diversificare mercati in tempi instabili. Geopolitico, perché una firma rinviata troppe volte rischia di indebolire l’affidabilità dell’Ue come attore negoziale globale, proprio mentre altri blocchi si muovono con maggiore rapidità.

Lula tra pressione e mediazione: “ora o mai più”, poi l’apertura all’attesa

Dal Sud America il messaggio è arrivato forte: l’attesa dura da un quarto di secolo e la pazienza non è infinita. Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha alternato irritazione e diplomazia, raccontando di un contatto con Giorgia Meloni e di una richiesta di tempo per gestire le pressioni interne. Anche il ministro delle Finanze Fernando Haddad ha spinto sulla dimensione geopolitica dell’intesa, dipingendola come una scelta che va oltre i numeri del commercio. Il rischio evocato, in controluce, è che ulteriori slittamenti aprano spazi ad altri partner e rendano più fragile l’asse Ue–America Latina.

Che cosa c’è davvero dentro l’accordo: dazi, quote e “salvaguardie”

Il cuore del trattato è la riduzione progressiva delle barriere tariffarie tra i due blocchi e la costruzione di un’area commerciale vasta.

Il punto sensibile, politicamente, è l’agricoltura: le quote e l’accesso al mercato per alcuni prodotti considerati “sensibili” sono il terreno su cui si misura la credibilità delle promesse di tutela. Negli ultimi mesi Bruxelles ha lavorato a clausole di salvaguardia per intervenire qualora importazioni e prezzi producano shock sui mercati europei, tentando di rendere l’intesa più digeribile per i governi sotto pressione. Resta, però, il nodo, più identitario che tecnico, della “reciprocità” sugli standard: chi protesta teme regole diverse e concorrenza giudicata non equa.

La matematica del via libera: maggioranza qualificata e rischio “minoranza di blocco”

Oltre alla politica, pesa l’aritmetica istituzionale. Per avanzare serve una maggioranza qualificata tra gli Stati membri, e i grandi Paesi contano più di altri nel determinare l’esito. È qui che il ruolo dell’Italia diventa decisivo: una posizione italiana troppo rigida può facilitare la costruzione di una minoranza capace di fermare l’operazione, mentre un rientro di Roma nell’alveo dei favorevoli renderebbe più difficile bloccare il percorso anche se Parigi restasse contraria. Per questo gennaio non sarà solo un “rinvio”: sarà un nuovo round in cui la Commissione dovrà trasformare le promesse in garanzie politicamente spendibili.

Gennaio come ultima finestra utile: tra presidenze e nervi scoperti

Il rinvio ha un obiettivo immediato: abbassare la temperatura e ridare spazio alla trattativa, ma il contesto resta elettrico. Le proteste agricole non riguardano solo il Mercosur: dentro c’è il timore di tagli, riforme e incertezze sulla Pac e sul bilancio futuro. Se Bruxelles vuole evitare che l’accordo diventi il simbolo di una frattura permanente tra istituzioni e campagne, dovrà affiancare alle salvaguardie commerciali un messaggio più ampio di sostegno e prevedibilità. Altrimenti, il rischio è che ogni passo avanti sul Mercosur riaccenda immediatamente la miccia nelle piazze europee.

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