Thailandia e Cambogia, la frontiera torna a bruciare: sette civili cambogiani e tre soldati thailandesi uccisi.
Nuovi scontri tra Thailandia e Cambogia: sette civili cambogiani e tre soldati thailandesi uccisi, migliaia di sfollati. Onu e UE chiedono de-escalation.
Thailandia e Cambogia, la frontiera torna a bruciare: sette civili cambogiani e tre soldati thailandesi uccisi.
La tregua siglata appena poche settimane fa è ormai un ricordo lontano. Sulla linea di confine lunga oltre 800 chilometri che separa Thailandia e Cambogia, gli scontri armati sono ripresi con un’intensità crescente, provocando nuove vittime, massicci sfollamenti e un’ondata di preoccupazione internazionale. Secondo fonti ufficiali, almeno sette civili cambogiani sono stati uccisi nelle ultime ore, mentre Bangkok conferma la morte di tre suoi soldati dall’inizio della nuova escalation.
A nulla sembra essere servito l’accordo di cessate il fuoco raggiunto a ottobre sotto la mediazione degli Stati Uniti e salutato come una possibile svolta in un contenzioso secolare. Le ostilità, riesplose nelle ultime ore, si sono estese rapidamente lungo diverse aree frontaliere, segnando il collasso della fragile architettura diplomatica costruita negli ultimi mesi.
Una frontiera contesa da oltre un secolo
Il confine tra i due Paesi è tracciato in larga parte su mappe risalenti all’epoca coloniale francese e rappresenta da sempre un nodo irrisolto nelle relazioni bilaterali. Templi, rilievi montuosi e porzioni di territorio prive di una delimitazione condivisa alimentano un contenzioso che, negli anni, è degenerato più volte in violenti scontri militari.
Negli ultimi mesi, dopo i combattimenti di luglio che avevano causato oltre 40 morti e 300mila sfollati, l’intesa del 26 ottobre — firmata durante un vertice Asean con la supervisione del presidente statunitense Donald Trump — aveva lasciato intravedere uno spiraglio di stabilità.
Il bilancio delle vittime e lo scambio di accuse
Il ministero della Difesa cambogiano denuncia l’esercito thailandese di aver aperto il fuoco nella provincia di Banteay Meanchey, colpendo civili in transito lungo la Strada Nazionale 56. Le autorità di Phnom Penh parlano di sette morti e almeno venti feriti, molti dei quali evacuati in condizioni critiche.
Parallelamente, Bangkok conferma la perdita di tre soldati, l’ultimo dei quali ucciso in un’esplosione nei pressi del tempio conteso di Preah Vihear, riconosciuto come patrimonio Unesco.
Entrambe le parti si accusano vicendevolmente:
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La Thailandia sostiene che la Cambogia avrebbe bombardato obiettivi militari e civili utilizzando granate e razzi.
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Phnom Penh replica che Bangkok avrebbe intrapreso “provocazioni ripetute” e attacchi contro la popolazione.
Il risultato è un ulteriore avvitamento delle ostilità: secondo l’influente ex premier cambogiano Hun Sen, “le forze devono rispondere a ogni attacco”, mentre il premier thailandese Anutin Charnvirakul ha dichiarato “nullo” l’accordo di pace firmato a ottobre, escludendo nuovi negoziati “finché le nostre richieste non saranno soddisfatte”.
Attacchi aerei e sfollamenti di massa
La crisi è precipitata lunedì, quando l’aviazione thailandese ha condotto raid contro presunte infrastrutture militari cambogiane. L’operazione, iniziata all’alba, ha interrotto mesi di relativa calma e ha provocato un esodo precipitato di civili in entrambi i Paesi.
Le immagini diffuse dai ministeri e dalle autorità locali mostrano code di mezzi agricoli, motociclette, camion e veicoli privati che tentano di allontanarsi dalle zone di combattimento. Solo sul lato thailandese, circa 440mila persone sono state evacuate da cinque province, mentre la Cambogia riferisce di oltre 20mila sfollati.
Decine di scuole hanno sospeso le lezioni, alcuni ospedali thailandesi hanno interrotto le attività e le amministrazioni locali parlano di una situazione umanitaria in rapido deterioramento.
La reazione della comunità internazionale
L’ondata di violenze ha provocato una reazione immediata da parte della comunità internazionale. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha invitato le parti a “evitare un’ulteriore escalation” e a utilizzare “tutti i meccanismi di dialogo disponibili”. Per il capo dell’Onu, la priorità deve essere la protezione dei civili e il ritorno al cessate il fuoco concordato in ottobre.
Anche l’Unione Europea ha espresso forte preoccupazione, definendo i nuovi scontri “un’escalation delle ostilità” e invitando a tornare alla dichiarazione congiunta del 26 ottobre e alle misure di fiducia previste dall’accordo.
Organizzazioni come Amnesty International hanno denunciato il rischio crescente per la popolazione civile e l’impatto delle operazioni militari sulle infrastrutture essenziali, sollecitando entrambi i governi ad adottare misure immediate per garantire la sicurezza dei residenti.
Una crisi che si inserisce in un panorama regionale instabile
La ripresa delle ostilità tra Thailandia e Cambogia avviene in un contesto asiatico già segnato da diverse tensioni strategiche: dalla crescente frizione tra Cina e Giappone, alle dispute marittime nel Mar Cinese Meridionale, fino alle instabilità politiche interne di diversi Paesi del Sudest asiatico.
Il timore, espresso tanto dalle cancellerie occidentali quanto da quelle regionali, è che il conflitto possa trasformarsi in un nuovo fronte caldo difficile da controllare. Le dinamiche nazionaliste che caratterizzano entrambi i Paesi, unite all’assenza di una cornice negoziale solida, alimentano il rischio di un’escalation prolungata.
Le prospettive: dialogo in stallo, crisi umanitaria in crescita
Con un cessate il fuoco formalmente sospeso, la diplomazia appare paralizzata. Le dichiarazioni provenienti da Bangkok e Phnom Penh indicano una fase di irrigidimento reciproco, mentre sul terreno proseguono scambi di artiglieria, colpi di mortaio e operazioni aeree.
A pagare il prezzo più alto, ancora una volta, sono i civili: famiglie costrette alla fuga, scuole chiuse, infrastrutture distrutte o interrotte, vite strappate alla quotidianità.
La possibilità di un ritorno rapido al negoziato dipenderà dalla pressione internazionale e dalla volontà dei due governi di rimettere sul tavolo un dialogo politico che, finora, si è dimostrato troppo fragile per fermare un contenzioso radicato nella storia.
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