Thailandia-Cambogia, firmato il cessate il fuoco immediato: stop alla guerra al confine dopo settimane di scontri.
Firmato il cessate il fuoco immediato tra Bangkok e Phnom Penh: stop alle ostilità lungo il confine dopo settimane di scontri, decine di morti e quasi un milione di sfollati.
Thailandia-Cambogia, firmato il cessate il fuoco immediato: stop alla guerra al confine dopo settimane di scontri.
Dopo settimane di violenti scontri armati lungo la frontiera contesa, Thailandia e Cambogia hanno concordato un cessate il fuoco immediato nel tentativo di fermare una crisi che ha assunto rapidamente le dimensioni di un’emergenza umanitaria. L’intesa è stata formalizzata con la firma di una dichiarazione congiunta da parte dei ministri della Difesa dei due Paesi e, secondo quanto riferito dai media regionali e internazionali, è entrata in vigore alle ore 12 locali del 27 dicembre 2025, corrispondenti alle 6 del mattino in Italia. La firma arriva al termine di giorni di colloqui serrati, avviati sotto la pressione crescente della comunità internazionale, preoccupata dal numero delle vittime e dall’impatto devastante sui civili.
Il bilancio di una crisi umanitaria senza precedenti recenti
L’ultima escalation del conflitto ha prodotto un bilancio pesantissimo. In poco più di tre settimane di combattimenti si contano almeno 47 morti ufficialmente confermati, con cifre che in alcune ricostruzioni salgono oltre quota cento considerando anche i precedenti scontri di dicembre. Ancora più drammatico è il numero degli sfollati: quasi un milione di persone costrette ad abbandonare le proprie abitazioni nelle aree di confine, trasformate in zone di guerra da bombardamenti, incursioni terrestri e scambi di artiglieria. Interi villaggi sono stati evacuati, mentre scuole, infrastrutture civili e vie di comunicazione hanno subito danni rilevanti, aggravando una situazione già fragile dal punto di vista sociale ed economico.
Cosa prevede l’intesa sul cessate il fuoco
La dichiarazione firmata dai ministri della Difesa stabilisce la cessazione immediata di ogni forma di attacco, includendo esplicitamente l’uso di tutte le tipologie di armi e vietando operazioni contro civili, infrastrutture civili e obiettivi militari. Le parti si sono impegnate a congelare i movimenti delle truppe, mantenendo gli attuali schieramenti senza ulteriori rinforzi, una clausola ritenuta fondamentale per evitare nuove provocazioni sul terreno. È previsto inoltre il ritorno progressivo dei civili nelle aree di confine, non appena le condizioni di sicurezza lo consentiranno, insieme alla cooperazione congiunta per le operazioni di sminamento e per il contrasto alla criminalità informatica, elemento sempre più presente nelle tensioni regionali.
Il nodo dei prigionieri e il richiamo alla Dichiarazione di Kuala Lumpur
Uno dei punti più delicati dell’accordo riguarda il destino dei militari catturati durante gli scontri. Secondo quanto indicato nel documento, trascorse 72 ore dall’entrata in vigore del cessate il fuoco, la Thailandia si è impegnata a rilasciare 18 soldati cambogiani detenuti. Il riferimento è allo “spirito della Dichiarazione di Kuala Lumpur”, l’intesa siglata lo scorso ottobre sotto l’egida internazionale e violata nelle settimane successive con la ripresa delle ostilità. Un passaggio simbolico e politico, che mira a ricostruire un minimo di fiducia reciproca dopo mesi di accuse incrociate e tregue fallite.
Una disputa storica lunga oltre ottocento chilometri
Alla base del conflitto vi è una controversia mai risolta sulla demarcazione di oltre 800 chilometri di confine, tracciato in gran parte durante il periodo coloniale francese. Le rivendicazioni territoriali si concentrano in particolare su alcune aree strategiche e su antichi templi situati nelle zone di frontiera, diventati nel tempo simboli nazionalistici per entrambe le parti. La geografia impervia, unita alla presenza di mine e a una delimitazione mai definitivamente accettata, ha favorito cicliche riacutizzazioni della tensione, trasformando dispute locali in crisi regionali di ampia portata.
Il ruolo dell’ASEAN e le pressioni internazionali
Il cessate il fuoco è arrivato dopo una riunione di crisi dei ministri degli Esteri dell’ASEAN, che ha svolto un ruolo chiave nel riaprire il canale diplomatico tra Bangkok e Phnom Penh. Accanto all’azione dell’organizzazione regionale, si sono intensificate le pressioni di Stati Uniti, Cina e Malesia, tutte interessate a evitare un’ulteriore destabilizzazione del Sud-est asiatico. In precedenza, una tregua era stata negoziata anche con il coinvolgimento diretto dell’allora presidente statunitense Donald Trump, ma si era rivelata di breve durata.
Accuse incrociate e fiducia ancora fragile
Nonostante la firma dell’accordo, il clima resta teso. Nelle settimane precedenti, Phnom Penh aveva accusato Bangkok di aver intensificato i bombardamenti nella provincia di Banteay Meanchey, mentre le autorità thailandesi denunciavano massicci attacchi notturni cambogiani nella provincia di Sa Kaeo. Anche incidenti come l’esplosione di mine terrestri, che hanno ferito gravemente soldati sul fronte, continuano ad alimentare sospetti e timori di nuove violazioni. Il cessate il fuoco rappresenta dunque un passo fondamentale, ma ancora fragile, in un contesto segnato da profonda sfiducia reciproca.
Diplomazia in movimento e appelli alla moderazione
Sul piano diplomatico, gli sforzi proseguono. Il primo ministro cambogiano Hun Manet ha riferito di colloqui con il segretario di Stato americano Marco Rubio, mentre la leadership thailandese ha annunciato la partecipazione diretta del ministro della Difesa ai nuovi round negoziali. Anche Pechino segue da vicino l’evolversi della crisi, promuovendo contatti bilaterali per favorire una de-escalation duratura. L’obiettivo condiviso, almeno nelle dichiarazioni ufficiali, è evitare che il conflitto si trasformi in una crisi cronica capace di destabilizzare l’intera regione.
Tra speranze di pace e incognite sul futuro
La firma del cessate il fuoco immediato segna un momento cruciale per Thailandia e Cambogia, stremate da settimane di combattimenti e da un costo umano sempre più difficile da sostenere. Tuttavia, la storia recente dimostra quanto fragile possa essere una tregua in assenza di un accordo politico strutturale sulla demarcazione dei confini e sui meccanismi di verifica. La comunità internazionale osserva con attenzione, consapevole che la stabilità dell’area dipenderà dalla capacità delle parti di trasformare questa pausa delle armi in un percorso credibile e duraturo verso la pace.
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