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Siria, scatta l’operazione Usa contro le cellule dormienti dell’Isis dopo l’attacco di Palmira.

Dopo l’uccisione di due soldati americani e di un interprete civile, la coalizione internazionale guidata da Washington e le forze siriane avviano una vasta operazione di sicurezza nel deserto: arrestati diversi sospetti, indagini anche su possibili infiltrazioni negli apparati statali.

Siria, scatta l’operazione Usa contro le cellule dormienti dell’Isis dopo l’attacco di Palmira.

L’attacco avvenuto nei pressi di Palmira ha riportato brutalmente al centro dell’attenzione la persistente minaccia dello Stato Islamico in Siria. Due soldati statunitensi e un interprete civile americano sono stati uccisi durante un’imboscata armata mentre prendevano parte a una missione congiunta di pattugliamento e supporto alle operazioni antiterrorismo. Altri tre militari Usa sono rimasti feriti. Secondo il Comando Centrale degli Stati Uniti (Centcom), l’azione è stata condotta da un singolo uomo armato affiliato all’Isis, successivamente ucciso nello scontro a fuoco.

La risposta immediata: operazione congiunta nel cuore della Badia

All’indomani dell’attacco, le autorità siriane e la coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti hanno annunciato l’avvio di una vasta “operazione di sicurezza” nel deserto siriano. L’obiettivo dichiarato è smantellare le cellule dormienti dell’Isis ancora attive nella regione della Badia, una vasta area semi-desertica che si estende tra Palmira e Deir Ezzor e che da anni rappresenta un rifugio naturale per i gruppi jihadisti sopravvissuti alla sconfitta territoriale del Califfato. Le operazioni includono perlustrazioni, posti di blocco, arresti mirati e attività di intelligence congiunte.

Arresti e indagini: una rete ancora da decifrare

Secondo fonti del ministero dell’Interno siriano, diverse persone sono state arrestate nelle ore successive all’attacco per il loro presunto coinvolgimento diretto o indiretto nell’imboscata. Il numero dei fermati è variato nel corso degli aggiornamenti ufficiali, segno di un’indagine in pieno sviluppo. Le autorità parlano di interrogatori in corso per ricostruire eventuali reti di supporto logistico, complicità locali e canali di comunicazione utilizzati dalle cellule jihadiste per muoversi nel territorio.

Il nodo più delicato: l’ipotesi dell’infiltrazione nelle forze di sicurezza

A rendere l’episodio particolarmente grave è l’ipotesi, rilanciata da diverse fonti e media regionali, che l’attentatore fosse un membro delle forze di sicurezza siriane. Secondo alcune ricostruzioni, l’uomo sarebbe stato arruolato da mesi negli apparati del Ministero dell’Interno e avrebbe prestato servizio in varie città prima di essere trasferito a Palmira.

Dopo l’attacco, undici membri delle forze di sicurezza sarebbero stati arrestati e interrogati per accertare eventuali responsabilità, falle nei controlli o legami ideologici con ambienti estremisti. Damasco ha confermato i fermi, ma ha negato che l’attentatore ricoprisse ruoli di comando.

Le versioni contrastanti e il rischio di verità sovrapposte

Washington attribuisce l’attacco direttamente allo Stato Islamico, mentre da parte siriana emergono accuse secondo cui la coalizione guidata dagli Stati Uniti avrebbe ignorato avvertimenti preventivi su una possibile infiltrazione jihadista nell’area. Le due versioni non sono necessariamente incompatibili: nel nuovo assetto siriano, infatti, diverse formazioni armate nate durante la guerra civile sono confluite negli apparati statali, creando una zona grigia in cui ex miliziani, combattenti irregolari e soggetti radicalizzati convivono sotto un’unica insegna istituzionale. Un contesto che facilita infiltrazioni e azioni di “lupi solitari”.

La reazione americana: deterrenza e promessa di ritorsione

La risposta politica degli Stati Uniti è stata immediata e durissima. Il presidente Donald Trump ha parlato di “tre grandi patrioti” uccisi in un attacco vile, promettendo “ritorsioni molto gravi”. Il segretario alla Difesa Pete Hegseth ha ribadito che l’aggressore è stato eliminato dalle forze alleate e ha lanciato un messaggio esplicito: chi colpisce gli americani, ovunque nel mondo, sarà braccato e neutralizzato. Una linea di comunicazione che punta a rafforzare la deterrenza e rassicurare l’opinione pubblica statunitense sulla tutela del personale militare all’estero.

Palmira, un simbolo che l’Isis continua a sfruttare

La scelta di Palmira non è casuale. La città, patrimonio dell’umanità Unesco, è stata uno dei simboli più forti del dominio dell’Isis tra il 2015 e il 2017, teatro di distruzioni, esecuzioni pubbliche e propaganda globale. Colpire in quest’area significa riattivare una memoria collettiva e dimostrare che, nonostante la sconfitta territoriale, il gruppo jihadista conserva capacità operative e una presenza diffusa nelle zone meno controllate del Paese.

La posta in gioco politica per il nuovo corso siriano

L’attacco rappresenta anche un duro test per il presidente siriano Ahmad al-Sharaa, ex leader jihadista riconvertito a interlocutore occidentale e principale promotore del riavvicinamento con Washington. La collaborazione con gli Stati Uniti nella lotta all’Isis è uno dei pilastri della nuova legittimità internazionale di Damasco, che ha già ottenuto la rimozione di alcune sanzioni. L’imboscata di Palmira rischia, però, di minare la fiducia americana e costringe il governo siriano a dimostrare di saper controllare i propri apparati di sicurezza e neutralizzare le infiltrazioni estremiste.

Il quadro resta fragile. Alla minaccia dell’Isis si sommano le tensioni nel Sud del Paese, con incursioni e operazioni israeliane nella provincia di Quneitra, e un contesto regionale segnato da conflitti irrisolti, da Gaza al Libano. In questo scenario, la Siria continua a essere un crocevia di interessi militari e politici contrapposti, dove anche un singolo attacco può avere conseguenze strategiche rilevanti.

La sfida delle cellule dormienti

L’operazione avviata nel deserto siriano dimostra che la guerra all’Isis non è affatto conclusa. Le cellule dormienti rappresentano oggi la forma più insidiosa della minaccia jihadista: invisibili, mobili, capaci di colpire con azioni mirate che destabilizzano alleanze e strategie. Per Stati Uniti e Siria, la sfida non è solo militare, ma anche politica e istituzionale: bonificare il territorio, rafforzare l’intelligence e impedire che l’estremismo trovi nuove crepe in cui insinuarsi.

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