Bielorussia, Lukashenko libera 123 prigionieri: tra loro il Nobel Bialiatski e la leader dell’opposizione Kolesnikova.
La grazia concessa dal presidente bielorusso arriva nel quadro di un accordo con gli Stati Uniti che prevede la revoca delle sanzioni sul potassio. Oltre cento detenuti trasferiti in Ucraina. Il Nobel Ales Bialiatski e Maria Kolesnikova tornano liberi dopo anni di carcere, ma oltre 1.200 prigionieri politici restano dietro le sbarre.
Bielorussia, Lukashenko libera 123 prigionieri: tra loro il Nobel Bialiatski e la leader dell’opposizione Kolesnikova.
La Bielorussia ha liberato 123 detenuti, tra cui il premio Nobel per la pace Ales Bialiatski e una delle figure simbolo dell’opposizione, Maria Kolesnikova. È il più importante rilascio di prigionieri politici dall’ondata repressiva seguita alle proteste del 2020, e arriva nel quadro di un accordo politico con gli Stati Uniti, che prevede la revoca delle sanzioni sul settore bielorusso del potassio, uno dei pilastri economici del regime di Lukashenko.
Secondo quanto comunicato dall’agenzia di Stato Belta e confermato da organizzazioni per i diritti umani come Viasna, il presidente bielorusso ha concesso la grazia a 123 persone condannate per reati che vanno dallo “spionaggio” al “terrorismo”, fino alle “attività estremiste”. In realtà, per la comunità internazionale e per gli osservatori indipendenti si tratta in larga parte di prigionieri politici, incarcerati per il loro ruolo nella contestazione del potere di Lukashenko e nella difesa dei diritti umani.
L’intesa con Washington e la leva delle sanzioni sul potassio
Il rilascio non è un gesto unilaterale di apertura, ma la contropartita di un accordo ben preciso con gli Stati Uniti. Un inviato speciale di Washington, John Coale, ha negoziato a Minsk la revoca delle sanzioni sul potassio bielorusso – materia prima fondamentale per i fertilizzanti, di cui la Bielorussia è tra i principali esportatori mondiali – e l’avvio di un processo di alleggerimento di altre misure restrittive. L’ufficio stampa di Lukashenko ha parlato esplicitamente di “accordi con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump” e di “sanzioni illegali” imposte dall’amministrazione precedente, ora revocate o in via di revoca.
Il trasferimento in Ucraina e l’asse con Kiev
La maggior parte dei 123 detenuti è stata trasferita in territorio ucraino. Il centro di coordinamento ucraino per i prigionieri di guerra ha fatto sapere che 114 persone rilasciate dalla Bielorussia si trovano ora in Ucraina, dove riceveranno assistenza medica e, se lo desiderano, potranno proseguire verso Polonia e Lituania.
Il presidente Volodymyr Zelensky ha confermato che tra i liberati ci sono anche cinque cittadini ucraini, ringraziando gli Stati Uniti per il ruolo avuto nella trattativa e sottolineando la cooperazione dei servizi di intelligence di Kiev.
Ales Bialiatski, il Nobel che non abbandona la lotta
Tra i rilasciati, il nome più emblematico è quello di Ales Bialiatski, 63 anni, fondatore del centro per i diritti umani Viasna, una delle principali organizzazioni bielorusse di monitoraggio delle violazioni e di sostegno ai prigionieri politici. Attivo fin dagli anni Ottanta nel movimento democratico, Bialiatski è stato più volte incarcerato: dal 2011 al 2014 e di nuovo dal 2021, con accuse formalmente legate a presunte violazioni fiscali e finanziamenti “in violazione dell’ordine pubblico”, considerate politicamente motivate da UE, ONU e ONG internazionali.
Nel 2022 gli è stato conferito il premio Nobel per la pace per il contributo alla difesa dei diritti umani nello spazio post-sovietico. Il riconoscimento era arrivato mentre Bialiatski era già in carcere; a ritirarlo era stata la moglie, che aveva dedicato il premio al popolo bielorusso.
Dopo la liberazione, l’attivista ha spiegato di voler continuare la sua battaglia per la democrazia: ha ricordato come il Nobel sia stato “un riconoscimento delle nostre attività e delle nostre aspirazioni, che non sono ancora state realizzate” e ha ribadito che “la lotta continua”. Dalla Lituania, davanti all’ambasciata statunitense a Vilnius, ha descritto i suoi quattro anni e mezzo di carcere – celle sovraffollate, condizioni degradanti, cure mediche inadeguate – e ha annunciato l’intenzione di dedicarsi alla propria salute per poi riprendere il lavoro in difesa dei prigionieri politici rimasti dietro le sbarre.
Maria Kolesnikova, il volto delle proteste del 2020
Accanto a Bialiatski, l’altra figura simbolo del gruppo è Maria Kolesnikova, 43 anni, musicista e attivista, diventata uno dei volti più riconoscibili delle proteste di massa contro i brogli nelle elezioni presidenziali del 2020. Collaboratrice di Viktar Babaryka, banchiere e candidato alle presidenziali poi escluso e incarcerato, Kolesnikova si era schierata al fianco della leader dell’opposizione Svetlana Tichanovskaja, nella campagna elettorale e nell’organizzazione delle mobilitazioni.
Il suo arresto, nel settembre 2020, è stato uno degli episodi più drammatici della repressione: sequestrata da uomini mascherati, portata al confine con l’Ucraina e minacciata di espulsione, Kolesnikova aveva strappato il passaporto pur di non essere deportata, scegliendo consapevolmente il carcere in patria anziché l’esilio forzato. Nel 2021 è stata condannata a 11 anni con l’accusa di “cospirazione per la presa del potere” e “attività estremiste”. Ha passato lunghi periodi in isolamento, in condizioni descritte dai familiari e dai suoi sostenitori come disumane, tanto che nel 2024 la sorella aveva espresso timori per la sua vita.
Viktar Babaryka e gli altri oppositori di alto profilo
Nel gruppo dei 123 figurano anche altri nomi di peso. Tra questi, Viktar Babaryka, 62 anni, ex banchiere e principale rivale potenziale di Lukashenko alle presidenziali del 2020, arrestato mesi prima del voto e condannato a 14 anni per frode e riciclaggio di denaro. La sua candidatura aveva galvanizzato una parte consistente della società bielorussa, contribuendo poi alla convergenza delle opposizioni attorno alla figura di Tichanovskaja, dopo la sua esclusione dalla corsa.
Tra i liberati ci sono anche l’avvocato Uladzimir Labkovich, figura di primo piano di Viasna ed ex vicepresidente della Federazione internazionale per i diritti umani, e altri attivisti, giornalisti e cittadini stranieri, tra cui cittadini di Regno Unito, Stati Uniti, Lituania, Ucraina, Lettonia, Australia e Giappone, secondo i dati diffusi dai media bielorussi e confermati da fonti diplomatiche.
La posizione del Comitato Nobel e delle ONG: un sollievo parziale
La reazione internazionale si muove tra sollievo e cautela. Il Comitato norvegese per il Nobel ha espresso “profondo sollievo e sincera gioia” per la liberazione di Bialiatski, definendola un momento “atteso da tempo”. Al tempo stesso, ha ricordato che in Bielorussia restano più di 1.200 prigionieri politici, cifra in linea con le stime di Viasna e di altre ONG internazionali. Da qui l’appello diretto alle autorità di Minsk affinché “tutti i prigionieri politici siano liberati senza eccezioni”.
Viasna, da parte sua, sottolinea come la repressione sistemica non sia affatto finita: nelle carceri bielorusse restano oltre 1.200 persone detenute per motivi politici, spesso in condizioni di salute precarie, sottoposte a pressioni per firmare confessioni o richieste di grazia. L’organizzazione ricorda inoltre che molti degli attivisti appena liberati sono stati costretti a scegliere l’esilio immediato, senza possibilità di rientrare in patria, riducendo di fatto lo spazio di opposizione all’interno del Paese.
La strategia di Lukashenko: apertura tattica, non svolta democratica
L’iniziativa di Lukashenko va letta sullo sfondo di un equilibrio interno ed esterno estremamente delicato. Da un lato, il presidente bielorusso rimane un alleato stretto di Vladimir Putin, avendo concesso il territorio del proprio Paese come base per le truppe russe e per lanciare l’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022. Dall’altro, c’è il peso delle sanzioni occidentali, in particolare su settori chiave come il potassio.
In questo quadro, il rilascio dei prigionieri appare come un’“apertura controllata” verso l’Occidente, funzionale a ottenere benefici economici immediati e a presentare Minsk come interlocutore utile – sia nel dossier ucraino, sia in eventuali futuri negoziati regionali – senza cedere sul piano del controllo interno. Non a caso, tutte le testimonianze degli oppositori e di Viasna convergono nel descrivere un sistema carcerario che resta strumento centrale di intimidazione e repressione, mentre le strutture del potere politico e di sicurezza rimangono intatte.
Il ruolo degli Stati Uniti e il dibattito sui limiti della “diplomazia delle sanzioni”
Per Washington, l’accordo con Minsk è al tempo stesso un successo e un test. Da un lato, la liberazione simultanea di oltre cento prigionieri, inclusi un premio Nobel e figure di alto profilo dell’opposizione, offre una prova concreta dell’efficacia delle sanzioni come leva per ottenere concessioni umanitarie. Dall’altro, apre una discussione sui rischi di legittimare un regime autoritario senza reali garanzie di riforme politiche, soprattutto mentre la guerra in Ucraina continua e la Bielorussia resta nel campo russo.
Le opposizioni in esilio invitano i governi occidentali a non allentare la pressione sulle autorità bielorusse, in particolare tramite le sanzioni europee, considerate più incisive sul lungo periodo. La sfida sarà mantenere aperto il canale che ha permesso il rilascio dei 123 detenuti, ma sicuramente la loro liberazione rappresenta un passaggio importante nella storia recente della Bielorussia.
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