Netanyahu pronto a occupare Gaza: il piano “Carri di Gedeone” divide Israele e scuote il mondo.
L’esercito israeliano si prepara a una nuova offensiva su larga scala: deportazione dei civili verso sud, controllo diretto degli aiuti umanitari e nessun ritiro dai territori conquistati. Cresce l’indignazione internazionale, mentre Trump resta in silenzio.
Netanyahu pronto a occupare Gaza: il piano “Carri di Gedeone” divide Israele e scuote il mondo.
L’esercito israeliano si prepara a una nuova offensiva su larga scala: deportazione dei civili verso sud, controllo diretto degli aiuti umanitari e nessun ritiro dai territori conquistati. Cresce l’indignazione internazionale, mentre Trump resta in silenzio.
Il governo israeliano ha approvato un piano denominato “Carri di Gedeone”, che punta a una nuova e più estesa occupazione militare della Striscia di Gaza. Il piano prevede il trasferimento forzato dei civili palestinesi verso il sud della Striscia, il controllo totale degli aiuti umanitari da parte israeliana e una presenza militare permanente nei territori conquistati. L’annuncio ha sollevato un’ondata di critiche a livello internazionale, ma non ha trovato opposizione da parte degli Stati Uniti, dove l’amministrazione Trump sembra mantenere un tacito consenso.
Un’occupazione militare permanente
L’operazione proposta prevede che l’esercito israeliano (IDF) invada e occupi stabilmente una parte significativa, se non tutta, della Striscia di Gaza. Attualmente, Israele controlla già una zona cuscinetto di circa un chilometro lungo il perimetro della Striscia e due corridoi a est e a ovest. Ma il piano segna un cambio di strategia: non più operazioni militari mirate, bensì una presenza fissa sul territorio.
Secondo le dichiarazioni del ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, esponente dell’estrema destra, «una volta iniziata l’operazione non ci saranno ritirate, nemmeno in cambio degli ostaggi». La priorità del governo Netanyahu resta la distruzione di Hamas, mentre il destino dei 59 ostaggi ancora detenuti sembra passare in secondo piano.
Il trasferimento forzato dei palestinesi
Netanyahu ha annunciato che i civili palestinesi saranno “spostati per proteggerli”. In realtà, secondo fonti di sicurezza citate dal quotidiano Haaretz, l’IDF prevede di confinare oltre due milioni di abitanti in un’area ristretta nel sud della Striscia, presso Rafah, definita “zona sterile”. Una misura che appare come il primo passo verso una deportazione di massa, in un processo che gli esperti israeliani non esitano a definire come un tentativo di pulizia etnica.
Il controllo degli aiuti umanitari
Dal 2 marzo, Israele ha interrotto l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza. Ora, con il nuovo piano, la distribuzione potrebbe riprendere, ma sarà gestita direttamente dall’esercito israeliano. Solo sessanta camion al giorno potranno accedere e solo chi accetterà di registrarsi potrà ricevere assistenza, in zone stabilite dalle autorità israeliane e senza il coinvolgimento delle autorità palestinesi o di Hamas.
Le Nazioni Unite e altre agenzie umanitarie hanno denunciato la misura come una violazione dei principi fondamentali dell’assistenza umanitaria. Secondo l’Humanitarian Country Team, l’obiettivo di Israele è smantellare il sistema di aiuti esistente per sostituirlo con uno controllato interamente da Tel Aviv, trasformando gli aiuti in un mezzo di pressione politica e militare.
Le tempistiche dell’operazione
L’inizio delle operazioni è previsto solo dopo la visita di Donald Trump in Medio Oriente, dal 13 al 16 maggio. La scelta sembra dettata dalla volontà di non oscurare mediaticamente un viaggio d’affari cruciale per gli Stati Uniti: sono in gioco contratti miliardari per la vendita di armi, tecnologia e infrastrutture con Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi. Inoltre, Trump punta a rilanciare il processo di normalizzazione tra Israele e i Paesi arabi, un progetto avviato con gli Accordi di Abramo.
Una strategia politica e personale
L’offensiva a Gaza serve anche agli equilibri interni di Israele. Secondo molti analisti, Netanyahu punta a mantenere unito il fragile governo di coalizione, dominato da forze di estrema destra, evitando contemporaneamente udienze nei suoi processi per corruzione e una commissione d’inchiesta sull’attacco subito il 7 ottobre. Come scrive l’esperto militare Amos Harel, l’operazione rischia di tradursi in «un altro disastro», senza reali prospettive di distruggere Hamas, ma con la certezza di un ulteriore aggravamento della crisi umanitaria.
Le reazioni internazionali
La comunità internazionale ha reagito con indignazione. Hamas ha sospeso ogni trattativa per il cessate il fuoco, definendo il piano “una guerra di fame e sterminio”. La Francia lo ha bollato come “inaccettabile”, l’Unione Europea ha espresso “profonda preoccupazione” e l’ONU si è detta “allarmata”. Anche l’associazione israeliana delle famiglie degli ostaggi ha criticato il governo, accusandolo di “preferire i territori agli ostaggi”.
In sintesi, il piano “Carri di Gedeone” appare come un progetto di lunga durata, con obiettivi militari e politici, che mira a ridisegnare radicalmente la geografia, la popolazione e l’autonomia della Striscia di Gaza, nel silenzio – o col tacito assenso – delle grandi potenze.
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