CAMBIA LINGUA

Netanyahu ordina raid su Gaza: tregua in bilico dopo il rinvio dei corpi degli ostaggi

Israele accusa Hamas di aver violato il cessate il fuoco mediato dagli Stati Uniti: attacchi aerei in tutta la Striscia, almeno 18 palestinesi uccisi. Washington tenta di mantenere in vita l’accordo.

Medio Oriente, nuova escalation dopo la pace vacillante: Israele accusa Hamas di violare il cessate il fuoco mediato dagli Stati Uniti e riporta raid massicci su Gaza.

L’apparente tregua tra Israeliani e palestinesi sembra sul punto di sgretolarsi. Il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu ha ordinato raid immediati e contundenti nella Striscia di Gaza dopo che Hamas, secondo Israele, avrebbe violato l’accordo di cessate il fuoco mediato dagli Stati Uniti. L’accusa riguarda in particolare il rinvio della consegna di uno dei corpi degli ostaggi israeliani, previsto per la serata e poi sospeso da Hamas stessa. La bara restituita ieri non conteneva resti appartenenti a nessuno dei tredici ostaggi ancora detenuti. Le autorità israeliane lo hanno definito come prova dell’ennesimo episodio di inganno da parte del movimento islamista, che avrebbe strumentalizzato la questione degli ostaggi per rompere i patti.

Parallelamente, fonti mediche palestinesi a Gaza riferiscono che nei raid israeliani sarebbero morte almeno 18 persone, con circa 50 feriti, in un attacco che è stato condotto da nord a sud della Striscia, come risposta immediata all’accusa di rottura della tregua. L’Ufficio stampa del governo di Gaza ha dato un numero ancora più alto di vittime, sottolineando come le violazioni del cessate il fuoco stiano aumentando e mettendo in guardia la comunità internazionale sulla fragilità dell’accordo.

Le autorità israeliane, attraverso l’ufficio del premier, hanno spiegato che dopo consultazioni sulla sicurezza Netanyahu ha deciso di “effettuare immediatamente potenti attacchi nella Striscia di Gaza”. Israele sostiene che la tregua – in vigore dopo un accordo mediato dagli Stati Uniti – impone la restituzione dei corpi degli ostaggi e il rispetto delle condizioni pattuite, e che tale restituzione non è stata onorata. Hamas, dal canto suo, contrattacca accusando Israele di avere «violato per primo» il cessate il fuoco e di aver impedito la consegna per motivi legati ai raid e alle restrizioni sul confine.

Il nodo della questione resta quello degli ostaggi. L’ala militare di Hamas ha annunciato di avere «recuperato» i corpi di due ostaggi — identificati come Amiram Cooper e Sahar Baruch — ma non ha confermato la loro consegna a Israele, rinviata a causa, sempre secondo il movimento, delle violazioni israeliane sul terreno. Questo blocco alimenta il risentimento a Tel Aviv e incrementa la pressione politica interna sul governo israeliano, che viene accusato da componenti della coalizione di destra di essere troppo indulgente con Hamas. Il ministro della Sicurezza nazionale israeliano, Itamar Ben‑Gvir, ha invocato la distruzione completa dell’organizzazione, definendo la mancata consegna dei resti come «la prova che l’organizzazione è ancora in piedi».

Nel frattempo, il vicepresidente statunitense J.D. Vance – che rappresenta la linea diplomatica di Washington – ha ammesso che i fatti del giorno sono “serissimi”, ma ha comunque espresso la convinzione che “la pace possa resistere” se non si darà il via ad una escalation incontrollabile. Gli Stati Uniti hanno investito molte risorse nel mantenimento della tregua, mediazione e monitoraggio degli scambi ostaggi–prigionieri, e la rottura dell’accordo rischia di vanificare mesi di sforzi diplomatici.

Sul terreno, l’offensiva israeliana è già in atto. Fonti israeliane riportano che i caccia dell’IDF hanno colpito set di obiettivi nella Striscia, con una forte concentrazione nella zona di Gaza City, vicino all’ospedale principale del nord della Striscia, e a Rafah, dove in mattinata si erano già registrati scontri tra miliziani e soldati. Le autorità palestinesi parlano di decine di vittime, alcune delle quali civili, mentre le forze israeliane insistono che gli obiettivi mirati sono infrastrutture di Hamas o miliziani attivi. Le operazioni militari sollevano nuovamente forti critiche a livello internazionale, per il rischio di aumento delle vittime civili e la paralisi della distribuzione degli aiuti umanitari.

Il contesto è ancor più delicato dopo che, nel corso del cessate il fuoco attivato all’inizio del 2025, era emersa una forte tensione sul fronte degli scambi ostaggi–prigionieri. Già in passato Israele aveva accusato Hamas di non rispettare gli impegni, in particolare per la mancata restituzione dei cadaveri dei soldati e per rifiuti sui termini della fase successiva della tregua. Gli analisti sottolineano che il controllo israeliano della “Line Gialla”, la linea oltre la quale le truppe israeliane si erano ritirate, e la gestione dei confini rappresentano punti nevralgici della stabilità.

In questo scenario, il rischio è che l’escalation odierna possa degenerare nuovamente in scontri su vasta scala, con impatti gravi per la popolazione civile della Striscia e per la stabilità regionale. La diplomazia internazionale è già attiva per tentare di contenere i danni: collaborano nella mediazione Stati Uniti, Egitto e Qatar, oltre alle Nazioni Unite. Tuttavia, la capacità di ripristinare la fiducia tra le parti appare oggi più che mai fragile. Il futuro della tregua dipenderà non solo dalla volontà di Israele e Hamas, ma anche dall’efficacia della comunità internazionale nel garantire che i prossimi passi – consegna dei resti, rilascio degli ostaggi, apertura dei corridoi umanitari – vengano rispettati in modo verificabile, trasparente e irreversibile.

Segui La Milano sul nostro canale Whatsapp

Riproduzione riservata © Copyright La Milano

×