Mandato di arresto per Netanyahu e Gallant: La Corte Penale Internazionale sotto i riflettori
La Corte Penale Internazionale emette mandati di arresto per Netanyahu e Gallant: accuse di crimini di guerra scatenano reazioni internazionali. Biden respinge, Hamas applaude.
Mandato di arresto per Netanyahu e Gallant: La Corte Penale Internazionale sotto i riflettori
La Corte Penale Internazionale (CPI) de L’Aia ha emesso mandati di arresto per il premier israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, accusandoli di crimini di guerra e contro l’umanità nel contesto del conflitto tra Israele e Hamas. La decisione, che include anche un mandato per Mohammed Deif, capo militare di Hamas, segna una svolta nella gestione giudiziaria della guerra in Medio Oriente, scatenando reazioni fortemente polarizzate a livello internazionale.
Le accuse e i mandati della Corte Penale Internazionale
I mandati di arresto emessi dalla Camera preliminare della CPI si concentrano sui crimini presumibilmente commessi dopo il 7 ottobre 2023, data in cui l’escalation tra Israele e Hamas ha raggiunto livelli senza precedenti. La CPI accusa Netanyahu e Gallant di aver autorizzato e condotto operazioni militari che avrebbero causato la morte di circa 44.000 palestinesi, molte delle quali vittime civili, e la distruzione di infrastrutture essenziali nella Striscia di Gaza.
Nel caso di Mohammed Deif, leader militare di Hamas, le accuse includono l’uso sistematico di civili come scudi umani e l’ordine di attacchi indiscriminati contro il territorio israeliano, che hanno provocato migliaia di morti e feriti. Nonostante le dichiarazioni di Israele che Deif sia stato ucciso in un raid aereo, il mandato rimane valido.
Reazioni da Israele e dagli Alleati Occidentali
Le reazioni da parte israeliana sono state immediate e accese. Netanyahu ha definito la decisione una “misura antisemita” e un “nuovo processo Dreyfus”, affermando che la Corte ha superato ogni limite etico e legale. “Non ci arrenderemo davanti a decisioni scandalose, continuerò a difendere Israele contro ogni minaccia”, ha dichiarato in un videomessaggio rivolto alla nazione.
L’ex ministro della Difesa Yoav Gallant ha sostenuto che il mandato “incoraggia il terrorismo” e rappresenta una pericolosa equazione tra le azioni di Hamas e quelle dello Stato di Israele, impegnato a proteggere i suoi cittadini.
Dagli Stati Uniti, il presidente Joe Biden ha respinto categoricamente la legittimità dei mandati, definendoli “scandalosi” e ribadendo il sostegno incondizionato di Washington a Israele. “Non esiste equivalenza tra Israele e Hamas. Saremo sempre al fianco di Israele contro le minacce alla sua sicurezza”, ha dichiarato Biden.
La Prospettiva Palestinese
La decisione della CPI ha suscitato reazioni diametralmente opposte tra i palestinesi. Hamas ha accolto con favore la misura, definendola “un passo importante verso la giustizia per il popolo palestinese”. Per i leader del movimento, i mandati rappresentano un riconoscimento delle sofferenze subite dai palestinesi durante il conflitto. Tuttavia, resta controverso il fatto che la stessa Corte abbia incluso Deif nella lista degli indagati, bilanciando le accuse tra le due parti del conflitto.
Comunità Internazionale Divisa
L’Unione Europea ha assunto una posizione prudente, dichiarando che “i mandati della Corte Penale Internazionale devono essere eseguiti”, ma senza entrare nel merito delle accuse. Questa dichiarazione riflette le tensioni interne al blocco europeo, dove alcuni Paesi mantengono posizioni più favorevoli a Israele, mentre altri sostengono con forza i diritti dei palestinesi.
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha invece salutato la decisione come una possibile svolta verso la responsabilizzazione delle parti in conflitto. Tuttavia, l’assenza di un’applicazione concreta dei mandati resta una grande sfida, dato che né Israele né Hamas riconoscono l’autorità della CPI.
Implicazioni per il Conflitto in Medio Oriente
I mandati di arresto arrivano in un momento critico, con la guerra tra Israele e Hamas che prosegue da oltre 400 giorni, caratterizzata da violenze crescenti e devastazioni umanitarie. L’accusa formale ai leader israeliani e palestinesi potrebbe spingere alcune nazioni a rivedere il proprio coinvolgimento nel conflitto, ma è altrettanto probabile che rafforzi la determinazione delle parti a non cedere.
In Israele, l’opinione pubblica appare compatta nel sostegno a Netanyahu e Gallant, visti come leader impegnati a garantire la sicurezza nazionale. Dall’altra parte, la popolazione palestinese spera che questa decisione possa portare maggiore attenzione internazionale alle sofferenze patite a Gaza.
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