La nuova strategia Usa accusa l’Europa: “rischio di cancellazione della civiltà entro vent’anni”.
Trump avverte l’Europa: senza cambio di rotta rischia la “cancellazione della civiltà”. Nella nuova strategia Usa critiche su Ue, migrazioni e Nato.
La nuova strategia Usa accusa l’Europa: “rischio di cancellazione della civiltà entro vent’anni”.
La nuova Strategia di Sicurezza Nazionale firmata da Donald Trump e diffusa dalla Casa Bianca ridisegna in profondità la visione americana del mondo. In 33 pagine all’insegna dell’“America First”, Washington riorienta le proprie priorità strategiche, sposta il baricentro verso l’emisfero occidentale e l’Indo-Pacifico, ridimensiona il peso dell’Europa e ne descrive il futuro con toni cupi: se le tendenze attuali dovessero proseguire, il Vecchio Continente rischia – si legge nel documento – di diventare “irriconoscibile in vent’anni o meno” e di vedere la propria civiltà “cancellata”.
Un cambio di paradigma: addio America “gendarme del mondo”
Al centro del testo c’è la rottura con l’idea di un’America garante dell’ordine globale su tutti i fronti. La strategia sostiene che, dopo la Guerra fredda, gli Stati Uniti abbiano inseguito una sorta di “dominazione permanente” del mondo, assumendosi costi politici, economici e militari che la società americana non è più disposta a sopportare. Da qui la scelta di concentrare risorse sugli interessi vitali: sicurezza dei confini, controllo dell’emisfero occidentale, competizione con Cina e Russia e difesa della supremazia tecnologica.
L’Europa, in questo quadro, smette di essere il teatro prioritario della proiezione di potenza americana. Washington non dichiara di “abbandonare” il continente, ma chiarisce che non intende più occuparsi da sola della sua sicurezza, né accettare automaticamente le posizioni delle istituzioni europee su guerra, migrazioni e governance economica.
Europa in declino e rischio di “cancellazione della civiltà”
I passaggi più duri del documento sono dedicati proprio all’Europa. La Casa Bianca descrive un continente in declino demografico, economico e culturale. Il calo del peso europeo sul Pil globale – dal 25% del 1990 a circa il 14% attuale – viene presentato non solo come un problema economico, ma come il sintomo di una crisi più profonda. Secondo il testo, regolamentazioni nazionali e sovranazionali soffocherebbero creatività e spirito imprenditoriale, mentre la combinazione di denatalità e immigrazione di massa starebbe “trasformando il continente” in modo potenzialmente irreversibile.
È qui che la strategia introduce la formula più discussa: il “declino economico”, pur allarmante, sarebbe “oscurato dalla prospettiva ancora più seria di una cancellazione della civiltà”. In altre parole, per l’amministrazione Trump non è in gioco solo la crescita, ma la tenuta stessa dell’identità storica e culturale europea. Il documento arriva a mettere in dubbio che, tra vent’anni, alcuni Paesi europei possano ancora avere economie e forze armate abbastanza solide da essere alleati affidabili degli Stati Uniti.
L’accusa contro Unione europea, migrazioni e censura politica
Nel mirino non c’è solo l’andamento economico. Washington individua una serie di “fattori interni” che minaccerebbero la libertà politica e la sovranità del Vecchio Continente. Tra questi, la strategia cita:
-la crescente influenza dell’Unione europea e di altri organismi transnazionali, accusati di erodere la sovranità degli Stati nazionali.
-le politiche migratorie, indicate come causa di tensioni sociali, conflitti e trasformazioni identitarie accelerate.
-la “censura della libertà di parola” e la “soppressione dell’opposizione politica”, con l’idea che alcuni governi europei utilizzino strumenti normativi e mediatici per marginalizzare il dissenso.
-il crollo dei tassi di natalità e la perdita di “identità e fiducia nazionali”.
Il quadro è quello di un’Europa sempre più regolata dall’alto, con élite politiche che – secondo il documento – avrebbero “sovvertito i processi democratici” e non rappresenterebbero più il sentimento di una popolazione in larga parte desiderosa di pace e stabilità. Da qui il monito: o il continente “cambia traiettoria” o rischia di vedere la propria civiltà dissolversi nel giro di pochi decenni.
Migrazione di massa e sicurezza dei confini: “l’era deve finire”
La nuova strategia inserisce la questione migratoria nel cuore stesso della sicurezza nazionale americana. “L’era della migrazione di massa deve finire”, afferma il documento senza mezzi termini. Il confine viene definito “l’elemento primario della sicurezza nazionale”: la protezione del territorio statunitense dalle “invasioni”, dalle migrazioni incontrollate e dalle minacce transfrontaliere – terrorismo, droga, traffico di esseri umani, spionaggio – viene elevata a priorità assoluta.
Secondo la Casa Bianca, in molti Paesi del mondo la migrazione di massa ha messo a dura prova risorse interne, coesione sociale, mercati del lavoro e sicurezza. Regolare i flussi, rafforzare i controlli, impedire corridoi illegali diventa dunque, nella visione trumpiana, un compito imprescindibile degli Stati sovrani. Per gli Stati Uniti questo principio si traduce in una richiesta precisa anche ai partner: la collaborazione, gli aiuti e perfino le alleanze saranno sempre più condizionati dalla capacità degli altri Paesi di contenere i flussi destabilizzanti e contrastare le reti criminali.
Nato sotto esame: fine dell’allargamento e più oneri per l’Europa
Un altro passaggio esplosivo riguarda la Nato. La strategia dichiara l’obiettivo di “porre fine alla percezione – e prevenire la realtà – di una Nato come alleanza in perpetua espansione”. È una formula che risuona con le richieste storiche di Mosca e mette in discussione il principio, ribadito per anni, delle “porte aperte” dell’Alleanza.
La Casa Bianca non nega l’importanza della Nato, ma pretende una ridefinizione dei ruoli. L’Europa viene invitata a “stare in piedi da sola”, ad assumersi la responsabilità primaria della propria difesa e ad aumentare spesa militare e capacità operative, invece di confidare sulla protezione americana automatica.
Il documento arriva a ipotizzare che, nel giro di pochi decenni, taluni membri dell’Alleanza possano diventare “a maggioranza non europea”, con conseguenze imprevedibili sulla percezione del loro ruolo nel mondo e sul legame con gli Stati Uniti. È un riferimento implicito alle dinamiche demografiche e migratorie del continente, che la strategia intreccia direttamente con la coesione politico-militare dell’Occidente.
Ucraina, pace “rapida” e nuova stabilità con Mosca
Sul conflitto tra Russia e Ucraina, la strategia definisce “interesse fondamentale” per gli Stati Uniti il raggiungimento di una cessazione delle ostilità “rapida”, con tre obiettivi: stabilizzare le economie europee, evitare un’escalation o un allargamento della guerra e ricostruire l’Ucraina come Stato “vitale”, ma sostenibile nel lungo periodo.
Nel fare questo, però, il documento è molto critico verso i governi europei. Vengono accusati di coltivare “aspettative irrealistiche” sul conflitto, di essere arroccati in governi di minoranza instabili e di “calpestare principi basilari della democrazia” reprimendo l’opposizione. La conseguenza, secondo Washington, è che il desiderio di pace della maggioranza dei cittadini non si traduce in politiche concrete.
Parallelamente, la Casa Bianca ribadisce la necessità di “ristabilire la stabilità strategica con la Russia”, un’espressione che sottintende la volontà di ricostruire, pur dopo l’invasione dell’Ucraina, un quadro di prevedibilità e di gestione del rischio a livello euroasiatico. Il documento sottolinea anche l’effetto indiretto della guerra sulle dipendenze europee: la crisi energetica avrebbe spinto, ad esempio, l’industria chimica tedesca a spostare capacità produttiva in Cina, usando gas russo non più disponibile in patria. È il simbolo di un continente che, agli occhi americani, si espone a nuove vulnerabilità esterne mentre fatica a prendere decisioni strategiche coerenti.
Il “Corollario Trump” alla Dottrina Monroe: il baricentro torna nelle Americhe
Se l’Europa viene richiamata a “correggere la propria traiettoria”, il vero cuore della strategia è l’emisfero occidentale. La Casa Bianca parla esplicitamente di un “Corollario Trump” alla storica Dottrina Monroe. L’idea originaria dell’Ottocento – nessuna ingerenza europea nelle Americhe, in cambio della non interferenza Usa negli affari europei – viene riletta in chiave contemporanea: gli Stati Uniti riaffermano il diritto-dovere di essere potenza preminente nel continente americano, prevenendo la presenza militare e il controllo di asset strategici da parte di potenze esterne.
Il documento riassume gli obiettivi con due verbi: “arruolare” ed “espandere”. Arruolare significa coinvolgere gli alleati consolidati dell’emisfero nel controllo delle migrazioni, nel contrasto ai cartelli della droga e nella sicurezza marittima. Espandere vuol dire allargare la rete di partner e rendere l’offerta americana – in termini di investimenti, sicurezza, infrastrutture – più attrattiva rispetto a quella di concorrenti come Cina e Russia.
In questo contesto, la lotta ai cartelli e alla criminalità transnazionale viene elevata al rango di questione strategica: non più solo cooperazione di polizia e magistratura, ma anche – se necessario – uso della forza militare per proteggere confini, rotte e infrastrutture critiche.
Indo-Pacifico e Cina: il “campo di battaglia” del secolo
L’altra grande priorità regionale è l’Indo-Pacifico, definito “uno dei principali campi di battaglia economici e geopolitici del secolo a venire”. La strategia riconosce che il baricentro della crescita mondiale si è spostato a est e che, per “prosperare in patria”, gli Stati Uniti devono competere con decisione nella regione.
Il documento rivendica il cambio di rotta avviato da Trump, dalle tariffe commerciali alla stretta sulle catene di approvvigionamento, e punta su due pilastri: riequilibrio economico fondato sulla reciprocità e deterrenza militare robusta per prevenire la guerra, in particolare nello Stretto di Taiwan e nel Mar Cinese Meridionale.
In quest’ottica, alleanze come il Quad (Usa, Giappone, India, Australia) assumono un ruolo centrale, così come il rafforzamento della presenza militare Usa nel Pacifico e la spinta sugli alleati perché aumentino le proprie capacità difensive.
Un’Europa ancora vitale, ma da “correggere”
Nonostante i toni durissimi, la strategia non dichiara l’irrilevanza dell’Europa. Al contrario, riconosce che il continente resta “strategicamente e culturalmente vitale” per gli Stati Uniti. Il commercio transatlantico è definito uno dei pilastri dell’economia globale, molti settori industriali europei vengono indicati come tra i più solidi al mondo, e le istituzioni scientifiche e culturali del continente sono citate come risorse di livello globale. “Non possiamo permetterci di abbandonare l’Europa”, avverte il documento, aggiungendo che farlo sarebbe controproducente anche per gli obiettivi dell’America First.
La differenza è che Washington vuole un’Europa diversa: meno dipendente da burocrazie sovranazionali, più attenta alle libertà fondamentali, capace di difendere i propri confini e di ritrovare fiducia nella propria civiltà. La strategia esprime apertamente simpatia per la “crescente influenza dei partiti patriottici europei”, visti come possibili vettori di una “rinascita dello spirito” nazionale.
L’obiettivo dichiarato è “aiutare l’Europa a correggere la propria traiettoria”. Per gli Stati Uniti, un’Europa forte, sovrana e più coesa internamente è necessaria non solo per contenere le ambizioni di eventuali avversari sul continente, ma anche per condividere più equamente oneri e responsabilità in un ordine internazionale sempre meno controllato da un unico attore.
Un monito e una scelta
Nel complesso, la nuova Strategia di Sicurezza Nazionale segna una svolta rispetto alla tradizionale narrativa transatlantica. All’Europa viene rivolto un doppio messaggio: da un lato il riconoscimento di un legame storico, culturale e commerciale che resta fondamentale; dall’altro un monito severo, quasi ultimativo, sulla necessità di cambiare rotta su migrazioni, sovranità, libertà politiche e difesa.
In ogni caso, una cosa è chiara: nella visione trumpiana, l’Europa non è più il centro della strategia americana, ma un alleato importante chiamato finalmente a camminare con le proprie gambe.
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