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La Bulgaria nella tempesta: le dimissioni del governo Zhelyazkov dopo le proteste di massa contro la corruzione.

La mobilitazione senza precedenti, guidata soprattutto dai giovani, costringe l’esecutivo alle dimissioni a poche settimane dall’ingresso del Paese nell’eurozona. Sofia affronta ora una fase di forte incertezza politica tra consultazioni, possibili elezioni anticipate e pressioni della piazza.

La Bulgaria nella tempesta: le dimissioni del governo Zhelyazkov dopo le proteste di massa contro la corruzione.

In Bulgaria il governo guidato da Rosen Zhelyazkov è crollato dopo appena pochi mesi di mandato, travolto dalle più imponenti proteste degli ultimi anni. Il primo ministro ha annunciato le proprie dimissioni al termine di un incontro con i leader dei partiti di maggioranza, spiegando che «il governo si dimette oggi» e riconoscendo che la pressione della piazza aveva raggiunto livelli tali da rendere insostenibile la permanenza al potere. Pur certo di poter superare l’ennesima mozione di sfiducia – la settima in meno di un anno – Zhelyazkov ha detto di voler rispettare la volontà popolare, definendo l’impegno civico dei manifestanti un segnale impossibile da ignorare.

Le radici della protesta: dal Bilancio 2026 alla denuncia di un sistema bloccato

Le manifestazioni, inizialmente nate contro alcune misure contenute nella bozza della legge di Bilancio 2026 – giudicate inique per l’aumento della pressione fiscale e dei contributi sociali – si sono rapidamente trasformate in un’ondata nazionale contro la corruzione, l’abuso di potere e l’immobilismo politico. A guidare il movimento di protesta è soprattutto la generazione più giovane, che ha animato sit-in, cortei e flash mob in tutto il Paese. Sulle facciate dei palazzi istituzionali, i manifestanti hanno proiettato parole come “dimissioni” e “mafia”, trasformando la città di Sofia in un palcoscenico simbolico di denuncia contro l’élite politica accusata di connivenze opache.

Sofia come epicentro di una mobilitazione senza precedenti

Le dimensioni della protesta hanno superato ogni previsione: secondo diverse stime, solo nella capitale sono scese in piazza oltre centomila persone, con picchi che avrebbero raggiunto le 150mila unità. Le immagini riprese dai droni hanno mostrato una moltitudine compatta invadere il centro città, tra bandiere, cartelli e slogan contro “la mafia al potere”. Le manifestazioni si sono svolte simultaneamente in almeno venticinque grandi città, da Plovdiv a Varna, da Veliko Tarnovo a Burgas, mentre anche le comunità bulgare all’estero hanno organizzato raduni a Bruxelles, Londra, Berlino, Vienna, Zurigo e New York.

La figura controversa di Delyan Peevski e il ruolo degli oligarchi

Un bersaglio particolarmente ricorrente nelle proteste è Delyan Peevski, uomo d’affari e influente politico del Movimento per i diritti e le libertà (Dps), il cui sostegno parlamentare era considerato cruciale per la sopravvivenza del governo. Peevski è da anni al centro di scandali e accuse di corruzione, tanto da essere stato sanzionato dagli Stati Uniti nel 2021 e dal Regno Unito nel 2023. Per molti manifestanti rappresenta la personificazione del legame tra politica, affari e controllo mediatico che, secondo i critici, soffoca la vita democratica del Paese. Pur non facendo parte ufficialmente della coalizione, il suo ruolo è considerato determinante, al punto da alimentare la convinzione che il potere reale fosse diviso tra l’ex premier Boyko Borissov e lo stesso Peevski.

Una crisi che affonda le radici in anni di instabilità

Il governo di Zhelyazkov era nato fragile: una coalizione di minoranza sostenuta da alleanze variabili e dall’appoggio esterno di partiti spesso in contrasto tra loro. Era il frutto di quattro anni di turbolenze politiche, durante i quali la Bulgaria aveva assistito alla caduta di governi tecnici e tentativi falliti di stabilizzare il quadro parlamentare. Nonostante la promessa di riforme e la volontà di accompagnare il Paese verso l’ingresso nell’euro, la coalizione non è riuscita a rispondere alle aspettative dei cittadini, aggravando la percezione di inefficienza e collusione.

La caduta dell’esecutivo e il ruolo del presidente Radev

Dopo l’annuncio delle dimissioni, la palla passa ora al presidente Roumen Radev, che dovrà consultare i gruppi parlamentari nel tentativo di formare una nuova maggioranza. Se i negoziati dovessero fallire, sarà necessario nominare un governo ad interim e convocare nuove elezioni entro due mesi. Per il capo dello Stato, le proteste rappresentano “un voto di sfiducia” espresso direttamente dalla popolazione: per questo ha invitato i legislatori ad “ascoltare il popolo” e a scegliere “tra la dignità del voto libero e la vergogna della dipendenza”.

Un Paese sospeso tra crisi politica e futuro europeo

La crisi arriva in un momento estremamente delicato per la Bulgaria, che si prepara a entrare nell’eurozona il 1° gennaio 2026, diventando il 21esimo Paese ad adottare la moneta unica. La procedura, assicurano le istituzioni, non dovrebbe subire rallentamenti nonostante la caduta del governo. Tuttavia, il dibattito interno resta acceso: un sondaggio recente mostra una popolazione divisa tra favorevoli e contrari all’euro, segno di un clima politico e sociale attraversato da profonde incertezze.

Proteste ancora vive e un futuro politico da ricostruire

Nonostante le dimissioni del premier, le proteste non si sono del tutto placate. Molti manifestanti chiedono non solo un cambio di governo, ma una rottura radicale con le pratiche del passato, invocando elezioni trasparenti, riforme strutturali e un vero contrasto alla corruzione. La Bulgaria si ritrova così sospesa tra la fine di un ciclo politico e l’inizio di un percorso ancora incerto, mentre le istituzioni europee osservano da vicino gli sviluppi, consapevoli del ruolo strategico del Paese nei futuri equilibri dell’Unione.

La caduta del governo Zhelyazkov rappresenta uno spartiacque: un segnale potente della maturazione civica della società bulgara, capace di mobilitarsi con una forza inattesa. Resta da capire se questa energia si tradurrà in una trasformazione politica duratura o se, come accaduto in passato, verrà assorbita dalle stesse dinamiche che i manifestanti denunciano. Quel che è certo è che il Paese ha dato voce a un malessere profondo, chiedendo con forza un cambiamento che ora la classe dirigente non può più ignorare.

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