Khamenei accusa USA e Israele: dietro la caduta di Assad un piano congiunto
Khamenei accusa Israele e Stati Uniti per la caduta di Assad, mentre il Medio Oriente affronta una fase di instabilità e frammentazione. La Siria si prepara a una difficile transizione politica tra tensioni internazionali e rivalità regionali.
Khamenei accusa USA e Israele: dietro la caduta di Assad un piano congiunto.
La caduta del regime di Bashar al-Assad segna una svolta epocale nella crisi siriana e nello scenario geopolitico mediorientale. Secondo l’ayatollah Ali Khamenei, guida suprema dell’Iran, il rovesciamento del presidente siriano sarebbe il risultato di un piano orchestrato congiuntamente da Stati Uniti e Israele, con la complicità della Turchia. L’accusa di Khamenei si inserisce in un contesto di crescente tensione tra le potenze regionali e internazionali, con il cosiddetto “Asse della Resistenza” – composto da Iran, Hezbollah e altri gruppi filo-iraniani – che appare sempre più frammentato e sotto attacco su diversi fronti.
L’accusa di Khamenei e la risposta israeliana
In un discorso dai toni accesi, Khamenei ha definito la caduta di Assad come una “manovra sionista-americana”, denunciando il coinvolgimento diretto della Turchia, un tempo alleata di Damasco ma ora schierata con i ribelli filo-Ankara. “Gli Stati Uniti non avranno una forte presenza in Siria e il fronte della resistenza espellerà sicuramente le forze americane dalla regione”, ha dichiarato, sottolineando che l’Iran rimarrà forte nonostante le sfide. Khamenei ha anche ribadito che la resistenza contro Israele e i suoi alleati diventerà più forte e motivata man mano che viene ostacolata.
Da parte sua, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha rivendicato con orgoglio il ruolo dello Stato ebraico nel contrastare l’espansione iraniana: “Stiamo smantellando l’asse del male dell’Iran”, ha dichiarato alla Knesset. Il ministro della Difesa, Israel Katz, ha rincarato la dose, invitando Khamenei a riflettere sui costi del suo supporto a gruppi armati come Hezbollah e altre milizie che mirano alla distruzione di Israele. “Khamenei dovrebbe piuttosto biasimare se stesso per il fallimento delle sue politiche aggressive”, ha affermato Katz.
Gli effetti regionali: una Siria frammentata e il ruolo delle potenze globali
Con il collasso del regime di Assad, la Siria entra in una nuova fase di transizione, caratterizzata da instabilità e incertezze. La caduta del leader siriano ha portato alla rapida ascesa di gruppi jihadisti nel vuoto di potere lasciato dal Baath, che governava il Paese da oltre 50 anni. Il nuovo governo di transizione, guidato da Muhammad Bashir, ha già suscitato preoccupazioni a livello internazionale, mostrando simboli jihadisti accanto alla bandiera siriana nella sua prima riunione ufficiale.
La Francia ha espresso preoccupazione per il dispiegamento militare israeliano nella zona cuscinetto tra Israele e Siria, considerandolo una violazione dell’accordo di disimpegno del 1974. Anche la Germania ha esortato Israele e Turchia a non ostacolare il processo di pace, sottolineando che ulteriori interventi militari rischiano di compromettere la stabilità regionale. Il Cremlino, alleato storico di Assad, ha condannato gli attacchi israeliani sulle alture del Golan e nella zona cuscinetto, definendoli destabilizzanti per una Siria già martoriata.
La Russia, tuttavia, sembra aver accettato la fine del regime, offrendo asilo al deposto leader. Il viceministro degli Esteri russo, Serghei Ryabkov, ha confermato che Assad è al sicuro in territorio russo e che la sua presenza riflette il ruolo di Mosca come attore determinante nelle crisi internazionali. Ryabkov ha anche escluso la possibilità di consegnare Assad alla Corte Penale Internazionale, sottolineando che la Russia non aderisce a tale istituzione.
Il ritiro israeliano dal Libano e le tensioni sul confine
Nel frattempo, l’esercito israeliano (IDF) ha annunciato il ritiro da Khiam, nel Libano meridionale, come parte dell’accordo di cessate il fuoco con Hezbollah. Tuttavia, l’IDF rimane operativo in altre aree del Libano meridionale e continua a monitorare possibili minacce. Il ritiro avviene in coordinamento con le forze armate libanesi e l’UNIFIL, mentre le autorità locali avvisano i civili di evitare le zone interessate dalle operazioni di bonifica dagli ordigni inesplosi.
Questo sviluppo si inserisce in un quadro più ampio di tensioni tra Israele e i suoi vicini. L’accusa di Tel Aviv verso l’Iran, che cerca di creare un “fronte orientale” per colpire lo Stato ebraico, aggiunge ulteriore pressione a una regione già instabile. Allo stesso tempo, Hezbollah continua a rafforzare la sua presenza nel sud del Libano, rendendo il cessate il fuoco fragile e potenzialmente temporaneo.
La dissoluzione del Partito Baath: fine di un’era
Un ulteriore segnale della dissoluzione del sistema politico siriano arriva dalla decisione del Partito Baath di sospendere tutte le sue attività. Per decenni strumento centrale del controllo di Assad, il Baath si è visto costretto a cedere le sue risorse al Ministero dell’Interno e al Ministero delle Finanze. Questa decisione segna la fine di un’era politica in Siria, con implicazioni profonde per il futuro del Paese e per la sua ricostruzione politica e sociale.
La reazione internazionale e il futuro della Siria
Nella regione, gli Stati Uniti stanno cercando di riorganizzare la loro strategia. Il segretario di Stato uscente, Antony Blinken, è atteso in Giordania e Turchia per discutere della crisi siriana e del futuro del governo di transizione. Al centro delle preoccupazioni vi è il rischio che il nuovo governo possa cadere sotto l’influenza di elementi radicali, minando qualsiasi speranza di stabilità a lungo termine.
Intanto, il prossimo vertice del G7, sotto la presidenza italiana, si concentrerà sulla Siria e sulle sfide della transizione. I leader mondiali discuteranno misure per supportare una soluzione politica inclusiva, ammonendo il nuovo governo siriano a prendere le distanze dai gruppi terroristici e a rispettare i diritti dei civili.
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