I primi 100 giorni di Trump: tra proclami, dazi rivisti e nuove polemiche.
Dal palco in Michigan, il presidente esalta i suoi successi su immigrazione e tasse, attacca Powell e Amazon, rivede i dazi sulle auto e scherza persino sul papato. Una narrazione in perfetto stile Trump.
I primi 100 giorni di Trump: tra proclami, dazi rivisti e nuove polemiche.
Dal palco in Michigan, il presidente esalta i suoi successi su immigrazione e tasse, attacca Powell e Amazon, rivede i dazi sulle auto e scherza persino sul papato. Una narrazione in perfetto stile Trump.
Il presidente Donald Trump ha celebrato con enfasi i suoi primi 100 giorni del nuovo mandato alla Casa Bianca, scegliendo un comizio nello Stato del Michigan per tracciare un bilancio che, più che un’analisi, è apparso come un’autocelebrazione. In linea con il suo stile inconfondibile, il tycoon ha ostentato sicurezza e successi, nonostante i mercati finanziari in flessione e i sondaggi in calo. Un’auto-narrazione trionfale, centrata in particolare sul giro di vite contro l’immigrazione e su nuove promesse di tagli fiscali massicci.
«Abbiamo ridotto del 99,9% gli ingressi illegali», ha dichiarato Trump dal palco, senza però fornire cifre dettagliate o contesto. Un’affermazione clamorosa che ben si inserisce nella retorica iperbolica che caratterizza i suoi discorsi pubblici. Come ha scritto ironicamente Mike Wendling sulla BBC, «non c’è niente di nuovo sotto il sole, dice il proverbio, e questo è particolarmente vero per i comizi di Donald Trump».
Flessibilità (alias marce indietro) sui dazi
Dietro l’entusiasmo, però, si nascondono anche correzioni di rotta significative, in particolare sul fronte dei dazi doganali. Trump ha firmato un nuovo ordine esecutivo per mitigare l’impatto delle tariffe del 25% sulle automobili importate, introdotte all’inizio del mese. Una decisione accolta con sollievo dall’industria automobilistica statunitense, che da settimane lancia allarmi sul rischio di aumenti dei costi e, di conseguenza, dei prezzi al consumo.
Come spiegato dalla corrispondente Viviana Mazza, l’ordine firmato da Trump evita che ulteriori dazi su acciaio e alluminio si sommino a quelli già esistenti. Inoltre, introduce un sistema di rimborsi parziali sui dazi del 25% imposti ai componenti esteri impiegati nella produzione di veicoli: nel primo anno, i produttori che assemblano e vendono auto negli USA potranno ottenere un rimborso fino al 3,75% del valore finale, che calerà al 2,5% l’anno successivo, fino a sparire. Resteranno invece esenti i componenti provenienti da Canada e Messico, in virtù degli accordi commerciali nordamericani.
Un’operazione che, a detta della Casa Bianca, servirà a “dare tempo” alle aziende per trovare fornitori locali. Ma la sostanza è chiara: sotto la pressione delle lobby industriali, il protezionismo trumpiano si piega – o si “adatta”, secondo la narrazione presidenziale – alla realtà economica.
Tensioni con Powell, Amazon e il Vaticano
Nel consueto stile provocatorio, Trump ha poi sferrato nuovi attacchi contro il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, accusato ancora una volta di ostacolare la crescita economica mantenendo tassi troppo alti. A questi si sono aggiunte invettive contro giudici che il presidente ha definito “comunisti”, un’etichetta ormai generica utilizzata per colpire ogni ostacolo giudiziario o istituzionale.
Non è mancata la polemica con Amazon
La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha accusato il colosso dell’e-commerce di aver compiuto un «atto ostile e politico» per aver valutato l’ipotesi di segnalare ai clienti eventuali aumenti di prezzo legati ai dazi. Dopo una telefonata diretta tra Trump e Jeff Bezos, Amazon ha smentito qualsiasi intenzione di introdurre una simile misura: «Mai approvata né prevista», ha chiarito l’azienda.
Infine, in una delle sue uscite più sorprendenti – e forse volutamente provocatorie – Trump ha risposto a una domanda sul futuro del papato, dichiarando ironicamente: «Vorrei essere io Papa». Poi ha affermato di non avere preferenze sul successore di Francesco, ma ha comunque lodato l’arcivescovo di New York, Timothy Dolan, noto per le sue posizioni critiche nei confronti dell’attuale pontefice. Un’uscita che ha fatto discutere, alimentando ipotesi su un possibile tentativo di Trump di guadagnare ulteriori simpatie tra i settori conservatori della Chiesa americana.
L’orizzonte commerciale
Nel frattempo, Trump ha assicurato che gli Stati Uniti sono «vicini» a chiudere un accordo commerciale con l’India, e che un’intesa con la Cina «arriverà presto». Frasi che, sebbene generiche, sono mirate a rilanciare l’immagine di un presidente assertivo sulla scena globale, capace di trattare con le grandi potenze economiche, dopo anni di tensioni e tariffe incrociate.
Le guerre sullo sfondo
Nel suo bilancio, Trump ha toccato solo di sfuggita i fronti di guerra. Ha rivendicato il rafforzamento dell’esercito e una politica di “pace attraverso la forza”, ma senza chiarire il ruolo futuro degli Stati Uniti nei conflitti in corso. Gli aiuti all’Ucraina sono rallentati, le tensioni con l’Iran restano congelate e in Asia cresce la pressione militare su Pechino. La politica estera, come spesso accade, resta in secondo piano rispetto alla narrazione interna.
I primi 100 giorni del nuovo mandato di Trump raccontano molto più del suo stile che dei suoi risultati. Mentre i mercati restano incerti e il Paese diviso, il presidente punta ancora sulla sua forza comunicativa, su slogan semplici e su un’agenda dove le marce indietro vengono presentate come strategia. In bilico tra realtà e narrazione, Trump continua a essere – come sempre – il più grande protagonista di se stesso
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