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I drusi d’Israele pronti a combattere in Siria: “Difenderemo i nostri fratelli, anche da soli”.

Cresce la tensione dopo i massacri di Jaramana e Suwayda: oltre 100 vittime in scontri tra sunniti e drusi. I riservisti dell’IDF scrivono a Netanyahu: “Israele intervenga, o lo faremo noi”.

I drusi d’Israele pronti a combattere in Siria: “Difenderemo i nostri fratelli, anche da soli”.

Cresce la tensione dopo i massacri di Jaramana e Suwayda: oltre 100 vittime in scontri tra sunniti e drusi. I riservisti dell’IDF scrivono a Netanyahu: “Israele intervenga, o lo faremo noi”.

TEL AVIV – In una delle fasi più tese degli equilibri mediorientali, centinaia di riservisti drusi dell’IDF (le Forze di Difesa israeliane) hanno rivolto un appello diretto e accorato al governo Netanyahu: “Siamo pronti a combattere in Siria per difendere i nostri fratelli, anche da soli”. La lettera, inviata nei giorni scorsi e rilanciata dall’emittente pubblica Kan, denuncia l’inerzia di Tel Aviv di fronte alla violenza crescente che nelle ultime ore ha fatto strage nella comunità drusa siriana. Oltre 100 i morti registrati tra Damasco e Suwayda, epicentro degli scontri tra milizie sunnite e druse, scatenati da un controverso audio sui social attribuito a un religioso druso e ritenuto offensivo nei confronti del profeta Maometto.

Una minoranza fedele a Israele

La reazione dei riservisti drusi è solo l’ultima dimostrazione di un legame che dura da quasi un secolo. La comunità drusa, circa 152.000 persone in Israele, è una delle poche componenti arabe ad aver scelto la strada della piena integrazione nello Stato ebraico. Fin dagli anni ’30 – quando i musulmani arabi li presero di mira, costringendoli a cercare alleanze con lo Yishuv ebraico – i drusi hanno partecipato attivamente alla difesa d’Israele. Dal 1956 la leva militare è obbligatoria anche per i loro giovani, e nel tempo si sono distinti in ruoli di primo piano: oggi, alcuni comandano unità d’élite come la Brigata Golani.

Il loro contributo non è solo militare: la conoscenza dell’arabo e la loro posizione tra culture li rendono preziosi anche nei settori dell’intelligence e della sicurezza interna, soprattutto in aree sensibili come Gerusalemme Est e il confine nord.

Damasco e il Golan: Israele non può restare neutrale

Il grido d’allarme dei riservisti arriva mentre le tensioni aumentano al confine. Israele, che dal crollo del regime di Bashar al-Assad ha occupato militarmente una parte delle Alture del Golan, ha negli ultimi giorni compiuto due raid in territorio siriano, l’ultimo dei quali nei pressi del palazzo presidenziale di Damasco. “Quando Ahmed al-Sharaa (al Jolani) vede i segni dei nostri attacchi, capisce che siamo determinati a impedire danni alla comunità drusa”, ha dichiarato il ministro della Difesa Israel Katz. “È nostro dovere proteggere i drusi, sia per la loro lealtà verso Israele, sia per il loro contributo alla nostra sicurezza”.

Ma per molti questa risposta non basta. Giovedì sera e fino a venerdì mattina, centinaia di drusi israeliani hanno bloccato le strade nel nord del Paese e manifestato davanti alla residenza del premier a Cesarea. “Avevano promesso protezione ai nostri fratelli in Siria – hanno detto ai microfoni di Ynet – ma le parole non sono seguite dai fatti”.

Siria: il caos post-Assad e la strage delle minoranze

Le violenze in Siria hanno raggiunto nuovi livelli di brutalità. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, basato a Londra ma con fonti sul terreno, sono stati più di 100 i morti negli scontri tra gruppi sunniti e comunità druse nella periferia di Damasco e nella regione di Suwayda. Tra le vittime, anche il sindaco di Sahnaya, Houssam Warawar, e suo figlio. Il bilancio più grave è stato registrato lungo la strada tra Damasco e Suwayda, dove 35 miliziani drusi sono stati uccisi in un solo attacco.

Il nuovo governo siriano guidato da Ahmad al Sharaa (noto anche come al Jolani), leader dell’ex fronte jihadista di Hayat Tahrir al-Sham, ha promesso di essere garante delle minoranze. Ma i fatti sembrano contraddire le dichiarazioni. Come già successo a marzo con il massacro della comunità alawita (oltre 900 vittime in quattro giorni), anche i drusi sono ora nel mirino. Nonostante l’apertura delle loro milizie a entrare nell’esercito regolare siriano, la protezione promessa non è arrivata.

La posizione degli Stati Uniti

Anche Washington è intervenuta sulla vicenda. In una nota del Dipartimento di Stato, la portavoce Tammy Bruce ha condannato le violenze e chiesto al governo siriano “di garantire la sicurezza della comunità drusa e assicurare alla giustizia i responsabili”. Una condanna chiara, che però non cambia la posizione operativa sul campo: Israele resta il principale baluardo a protezione della minoranza.

Un’alleanza messa alla prova

Il legame tra Israele e i drusi – in patria e oltreconfine – è oggi più saldo ma anche più fragile. L’appello dei riservisti mette il governo Netanyahu di fronte a una scelta: intervenire militarmente in modo più deciso o lasciare che i drusi agiscano da soli, col rischio di scatenare un’escalation ancora più ampia. In ballo non c’è solo la vita di migliaia di persone in Siria, ma anche la credibilità dello Stato d’Israele verso una delle sue minoranze più fedeli

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