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Gaza sotto la furia del maltempo: la tempesta Byron aggrava la crisi umanitaria.

La tempesta Byron devasta una Gaza già allo stremo: allagamenti, freddo pungente e infrastrutture distrutte aggravano l’emergenza umanitaria. La morte di una bambina di otto mesi diventa il simbolo di una popolazione esposta al freddo, alle malattie e all’assenza di aiuti adeguati.

Gaza sotto la furia del maltempo: la tempesta Byron aggrava la crisi umanitaria.

La vicenda della bambina di otto mesi morta di freddo in una tenda allagata a Khan Younis rappresenta uno degli episodi più drammatici di queste ore nella Striscia di Gaza, dove l’arrivo della tempesta Byron sta aggravando una crisi umanitaria già estrema. Il racconto della madre, affidato alle telecamere di Al Jazeera, restituisce tutta la vulnerabilità di chi da mesi vive senza protezioni adeguate: la donna ha descritto una notte segnata da pioggia incessante e gelo, durante la quale ha cercato disperatamente di riscaldare la figlia, senza riuscire a salvarla. Una storia che si somma alle vite spezzate dal conflitto e che oggi diventa simbolo dell’impatto del maltempo su una popolazione già allo stremo.

Una Striscia sotto la pioggia: gli effetti della tempesta Byron

Le piogge torrenziali che da giorni colpiscono Gaza hanno provocato allagamenti diffusi nei campi degli sfollati e il crollo di edifici già seriamente danneggiati dai bombardamenti. Le squadre della Protezione Civile palestinese hanno effettuato decine di interventi nel giro di poche ore, tentando di arginare gli allagamenti, evacuando famiglie e pompando acqua da tende ormai impraticabili. La tempesta Byron sta portando con sé venti violenti e precipitazioni eccezionali, con previsioni di peggioramento fino al termine della settimana. In una terra martoriata, dove la guerra ha già distrutto gran parte delle infrastrutture, l’inverno si trasforma in un ulteriore nemico.

Il quadro sanitario e igienico al collasso

L’acqua che invade le aree residenziali e i campi profughi non trascina con sé soltanto fango, ma anche rifiuti, liquami e detriti di ogni tipo. Le reti fognarie, secondo testimonianze raccolte da Al Jazeera e dalle autorità locali, sono state quasi completamente distrutte dai bombardamenti, aumentando la probabilità che le inondazioni mescolino acque piovane e reflue. Gli operatori sanitari temono un’impennata di malattie infettive come dissenteria e colera, in un contesto in cui gli ospedali, già al limite per carenza di medicinali e personale, faticano a reggere la pressione crescente. Medici dell’ospedale Al-Shifa segnalano un aumento dei casi di ipotermia, soprattutto tra i bambini, insieme a ricoveri di anziani e pazienti con patologie respiratorie e cardiache aggravate dal freddo.

L’emergenza sfollati e la vulnerabilità dei più piccoli

Sono quasi 850.000 le persone che secondo le stime delle Nazioni Unite vivono attualmente in 761 campi profughi, molti dei quali costruiti con materiali fragili, inadatti a resistere alle intemperie. Le tende allagate e le temperature invernali espongono gli sfollati a rischi enormi, soprattutto neonati e bambini, che la stessa ONU identifica come i soggetti più minacciati dall’ipotermia. Organizzazioni come “Save the Children” denunciano la chiusura temporanea di spazi dedicati alla cura dell’infanzia, resi inutilizzabili dal maltempo. Nel frattempo l’UNRWA ricorda che gran parte delle sofferenze attuali potrebbe essere evitata consentendo l’ingresso di aiuti umanitari adeguati.

Il peso del conflitto sulla capacità di risposta all’emergenza

Sebbene sia in vigore un cessate il fuoco, la situazione militare rimane tesa e, secondo gli organismi internazionali, gli attacchi continuano lungo la linea di demarcazione, rendendo ancora più difficile l’ingresso di aiuti destinati alla gestione dell’emergenza climatica. Funzionari locali affermano che non sono state autorizzate forniture essenziali come tende impermeabili, moduli abitativi o materiali di riparazione: ciò che entra, spiegano, appartiene al mercato privato e non agli aiuti umanitari. La popolazione resta così esposta a ogni nuova calamità naturale senza strumenti per difendersi.

Inondazioni, rifiuti e il rischio di contaminazione dell’acqua

Alla devastazione del sistema fognario si aggiunge la sospensione della raccolta dei rifiuti, che ha prodotto cumuli di detriti e scarti in ogni angolo della Striscia. Le precipitazioni rischiano di disperdere rifiuti medici, plastica e carcasse animali in aree densamente popolate, aumentando la contaminazione del suolo e delle falde acquifere. Le piogge non drenano più come in passato: le stazioni di pompaggio, fuori uso, permettono all’acqua stagnante di accumularsi, trasformando interi quartieri in zone umide esposte a infezioni e insetti vettori di malattie.

L’allarme internazionale e la richiesta di interventi urgenti

La comunità internazionale osserva con crescente preoccupazione l’evoluzione della situazione. L’ONU denuncia da settimane le violazioni del cessate il fuoco e rilancia un appello affinché venga concessa assistenza immediata alla popolazione, soprattutto nelle aree più soggette a inondazioni. L’agenzia per i rifugiati palestinesi ribadisce la necessità di medicine, strutture adeguate e forniture per affrontare l’inverno, avvertendo che il protrarsi delle restrizioni all’ingresso degli aiuti potrebbe trasformare la crisi attuale in una tragedia su larga scala. Gli operatori nel territorio, intanto, lavorano con risorse minime per garantire almeno indumenti e coperte, ma la portata dell’emergenza supera di gran lunga la capacità di risposta.

La tempesta come specchio di una crisi più profonda

La morte della neonata a Khan Younis non è soltanto l’effetto di una notte di gelo, ma il risultato di un concatenarsi di fragilità strutturali, distruzione infrastrutturale, blocco degli aiuti e condizioni di vita insostenibili. La tempesta Byron è arrivata in una Striscia già piegata da anni di guerra, amplificando ogni vulnerabilità. Mentre le piogge continuano a cadere e il gelo penetra nelle tende bagnate, la popolazione di Gaza affronta un inverno che rischia di trasformarsi in un nuovo capitolo di sofferenze. Un’emergenza climatica che, in un contesto di conflitto, assume i contorni di una crisi umanitaria senza vie d’uscita immediate.

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