Epstein files, l’archivio che divide l’America: documenti oscurati, accuse di insabbiamento e il fronte politico in fiamme.
Il Dipartimento di Giustizia rilascia migliaia di file, ma con ampie censure: poche citazioni di Trump, molte foto di volti noti e una tempesta politica sulla trasparenza. Il portavoce di Clinton: “cercano un capro espiatorio”.
Epstein files, l’archivio che divide l’America: documenti oscurati, accuse di insabbiamento e il fronte politico in fiamme.
La prima parte della documentazione federale legata al caso Jeffrey Epstein è diventata pubblica negli Stati Uniti, e l’effetto politico e mediatico è stato immediato: invece di chiudere una stagione di sospetti, la diffusione ha riaperto fronti di polemica sulla trasparenza dell’operazione. Il Dipartimento di Giustizia (DoJ) ha rilasciato una porzione dell’archivio investigativo sul finanziere condannato per reati sessuali, morto in carcere nel 2019, ma la presenza di omissis estesi e interi passaggi oscurati ha alimentato dubbi sulla completezza del materiale messo a disposizione.
Quanti file e che cosa è stato reso disponibile
Secondo quanto indicato, la tranche include 3.965 file per circa 3 gigabyte, distribuiti in quattro set di dati: in prevalenza documenti in formato Pdf, oltre a un video e numerose immagini. La messa online è stata presentata come un primo passo verso una “biblioteca completa” dedicata al caso Epstein, con documenti provenienti da più canali: atti giudiziari, carte diffuse in applicazione della nuova normativa, materiali rilasciati tramite richieste di accesso agli atti e documentazione legata ai lavori della commissione di sorveglianza della Camera.
Celebrità e potere nei fascicoli: la “società” di Epstein in fotografia
Il contenuto più dirompente, al momento, sembra essere quello iconografico. Nei file compaiono fotografie e menzioni di personaggi pubblici entrati, a vario titolo, nell’orbita sociale di Epstein. Tra i nomi citati o mostrati: Bill Clinton, il principe Andrea con Sarah Ferguson, Mick Jagger, Michael Jackson, Diana Ross, Kevin Spacey, Chris Tucker, Walter Cronkite, Richard Branson. In altri documenti emergono anche Naomi Campbell (citata in note manoscritte su un viaggio), David Copperfield (fotografato con Ghislaine Maxwell), lo psicologo Steven Pinker, il regista Brett Ratner, l’ex diplomatico britannico Peter Mandelson, oltre a Jean-Luc Brunel, collaboratore di Epstein morto in carcere nel 2022 mentre era indagato in Francia.
Un punto fermo necessario: presenza non significa colpevolezza
Gli stessi materiali, per come vengono descritti, impongono cautela interpretativa. La comparsa di un nome o di un volto non costituisce automaticamente prova di responsabilità penale, né indica consapevolezza dei crimini commessi dal finanziere. Molte immagini ritraggono contesti sociali, viaggi, cene, eventi: elementi che, da soli, possono documentare relazioni e frequentazioni, ma non dimostrano coinvolgimenti nelle attività criminali. È proprio questa zona grigia – il confine tra cronaca giudiziaria e “cerchia” mondana – a rendere il dossier esplosivo sul piano politico e reputazionale.
Il caso Clinton: la foto nella jacuzzi e la risposta del portavoce
Al centro del dibattito è finito soprattutto Bill Clinton, ripreso in diversi scatti privati e di viaggio tra anni Novanta e Duemila. Tra le immagini più discusse, quella in cui l’ex presidente appare a torso nudo in una vasca idromassaggio accanto a una persona con il volto oscurato; in altri scatti Clinton è a bordo di un aereo con Ghislaine Maxwell e altre donne, o compare in contesti conviviali insieme a Epstein e ad altre celebrità. La Casa Bianca ha colto l’occasione per attaccare l’ex presidente democratico; dal fronte Clinton, il portavoce Angel Urena ha respinto l’idea di un coinvolgimento, sostenendo che Clinton avrebbe interrotto i rapporti quando i crimini di Epstein sono emersi e denunciando un tentativo di trasformarlo in “capro espiatorio”.
Trump nei documenti: poche citazioni e un nervo politico scoperto
Le critiche democratiche si concentrano anche su un altro aspetto: la limitata presenza di riferimenti a Donald Trump, nonostante la nota amicizia passata tra l’attuale presidente e Epstein. Tra i richiami riportati nelle carte figura una causa del 2020 presentata da una donna che afferma di essere stata reclutata da Epstein e Maxwell quando era minorenne e di essere stata presentata a Trump in un contesto legato a Mar-a-Lago. Il tema è diventato uno dei punti più delicati della contesa: da un lato l’amministrazione rivendica l’operazione come prova di trasparenza, dall’altro i democratici parlano di pubblicazione selettiva e di un rilascio che non scioglie i nodi principali.
Il “bigliettino” e la dimensione investigativa ancora opaca
Tra i file citati compare anche un elemento inquietante: messaggi datati 8 novembre 2004 diretti a Epstein, con una frase che recita “ho una femmina per lui”, replicata in un altro foglietto. L’esistenza di appunti di questo tipo, per quanto isolati e decontestualizzati, richiama la natura predatoria e organizzata della rete attorno al finanziere e spiega perché, da anni, l’opinione pubblica chieda un accesso più ampio agli atti.
Omissis e pagine annerite: la trasparenza al banco di prova
Il punto più contestato resta la qualità della divulgazione. Molti documenti risultano pesantemente censurati: in un elenco di 254 “massaggiatrici” tutti i nomi sono oscurati per proteggere possibili vittime; altri file contengono immagini parzialmente oscurate di persone nude o seminude, oppure fotografie con armi. In un set di dati, si parla di un file di cento pagine completamente annerite. Il DoJ ha accompagnato la pubblicazione con un avviso: sono stati compiuti sforzi per rimuovere informazioni che possano identificare vittime o privati cittadini e per evitare la diffusione di materiali sensibili; tuttavia, per il volume dei dati, non viene escluso che possano emergere involontariamente informazioni non pubbliche.
L’accusa democratica: “tardiva e incompleta”, il nodo della legge
I democratici contestano non solo il contenuto, ma l’impianto politico del rilascio. Chuck Schumer parla di una diffusione che rappresenterebbe “solo una frazione” delle prove complessive e sostiene che l’uso massiccio degli omissis contrasti con lo spirito dell’Epstein Files Transparency Act, la legge che impone la pubblicazione dei fascicoli salvo limiti legali e tutele per le vittime. Dal Dipartimento di Giustizia, il vice procuratore generale Todd Blanche ha annunciato ulteriori tranche nelle prossime settimane, precisando che resterà escluso ciò che è legato a indagini in corso.
Il DoJ tra obblighi, protezione delle vittime e pressione politica
La scadenza era fissata al 19 dicembre, trenta giorni dopo la promulgazione della legge. L’amministrazione ha motivato ritardi e omissioni con la necessità di proteggere le vittime, evitare la pubblicazione di dettagli su minori, preservare informazioni considerate sensibili per la sicurezza nazionale e non interferire con indagini ancora aperte. È una linea di equilibrio complessa: da un lato l’obbligo di rendere accessibili documenti che da anni alimentano sospetti; dall’altro la tutela di persone vulnerabili e il rischio di compromettere procedimenti in corso.
La battaglia delle narrative: trasparenza rivendicata, sospetti rilanciati
La Casa Bianca insiste sul messaggio politico: la pubblicazione dimostrerebbe la “trasparenza” dell’amministrazione e un impegno concreto “per le vittime”, accompagnato dalla collaborazione con le richieste del Congresso e da ulteriori iniziative investigative. L’opposizione, però, ribalta la prospettiva: un rilascio parziale – soprattutto se percepito come politicamente orientato – non chiude il caso, lo moltiplica. Nella guerra di accuse tra repubblicani e democratici, la figura di Epstein continua così a funzionare da detonatore: non solo per l’orrore dei crimini, ma per ciò che i suoi archivi suggeriscono sul rapporto tra potere, privilegi e impunità.
Riproduzione riservata © Copyright La Milano

