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Dollaro ai minimi, oro da record: Trump attacca Powell e agita i mercati.

Un post su Truth Social riaccende lo scontro con Powell. Gli investitori temono per l’indipendenza della Fed e si rifugiano nell’oro, volato oltre i 3.400 dollari l’oncia.

Dollaro ai minimi, oro da record: Trump attacca Powell e agita i mercati.

Un post su Truth Social riaccende lo scontro con Powell. Gli investitori temono per l’indipendenza della Fed e si rifugiano nell’oro, volato oltre i 3.400 dollari l’oncia.

Donald Trump torna all’attacco e affonda Wall Street. Con un nuovo e violento messaggio su Truth Social (social network creato dalla Trump Media & Technology Group), il presidente degli Stati Uniti ha preso di mira ancora una volta Jerome Powell, il presidente della Federal Reserve, accusandolo di essere “Mr Troppo Tardi” e “un grande perdente”. Il risultato è stato immediato e dirompente: i principali listini americani sono crollati, il dollaro ha toccato i minimi da oltre tre anni e l’oro ha aggiornato l’ennesimo record, superando i 3.400 dollari l’oncia.

“Molti invocano tagli preventivi ai tassi. Con i costi energetici in forte calo, i prezzi dei generi alimentari  sostanzialmente più bassi e la maggior parte delle altre cose in discesa, l’inflazione è praticamente nulla – ha scritto Trump – ma può esserci un rallentamento dell’economia a meno che Mr. Troppo Tardi, un grande perdente, non abbassi i tassi di interesse, ORA. L’Europa ha già tagliato i tassi sette volte. Powell è sempre stato in ritardo, tranne che nel periodo elettorale, quando li abbassò per aiutare Biden”.

Le parole di Trump hanno innescato una reazione a catena sui mercati. Il Dow Jones ha perso oltre 1.200 punti, l’S&P 500 è scivolato del 3,3% e il Nasdaq ha registrato un ribasso del 3,6%. Sui mercati valutari, l’euro è salito a quota 1,1572 dollari, mentre il Dollar Index è sceso sotto quota 98, segnando i minimi da oltre tre anni. Al contempo, l’oro ha visto un’impennata del 13% in una sola settimana, confermandosi bene rifugio per eccellenza in un clima di crescente sfiducia verso gli asset statunitensi.

Crescente instabilità e timori per l’indipendenza della Fed

Lo scontro tra Casa Bianca e Federal Reserve non è nuovo, ma in questa fase assume contorni inediti e potenzialmente pericolosi. La scorsa settimana, Powell aveva affermato che “è molto probabile che i dazi generino almeno un aumento temporaneo dell’inflazione”, sottolineando la necessità di “maggior chiarezza” prima di modificare la politica monetaria. Parole che hanno irritato Trump, il quale ha iniziato a ventilare apertamente l’ipotesi di un licenziamento anticipato del presidente della Fed, nonostante il suo mandato scada solo nel 2026.

L’ipotesi, considerata estrema da molti osservatori, ha trovato eco nei corridoi di Washington. Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, la Casa Bianca avrebbe già individuato in Kevin Warsh – ex membro della Fed dal 2006 al 2011 – un possibile sostituto. “Se voglio che se ne vada, se ne andrà subito, credetemi”, ha detto Trump nel corso di un incontro ufficiale, provocando una nuova ondata di vendite sui mercati.

La minaccia di un’ingerenza politica nella banca centrale ha acceso l’allarme tra gli investitori, che temono un indebolimento dell’indipendenza della Fed e, con essa, della credibilità dell’intera politica economica americana.

Fuga dagli asset Usa: segnali di disaffezione globale

Negli ultimi giorni, il segnale più chiaro del cambio di sentiment è arrivato dai flussi di capitali. Secondo i dati, gli investitori hanno riversato 11,1 miliardi di dollari nei fondi azionari europei e 3,6 miliardi in quelli asiatici. Al contrario, i fondi azionari statunitensi hanno registrato deflussi netti per oltre 10,6 miliardi.

Anche i Treasury americani, tradizionale punto di riferimento per gli investitori globali, stanno perdendo appeal. Il rendimento del decennale Usa ha superato il 4,37%, spinto da vendite massicce. Il Tesoro americano dovrà collocare nel solo 2025 nuovi titoli per circa 2.000 miliardi di dollari, oltre a rinnovarne altri 8.000 miliardi in scadenza. In questo contesto, banche centrali come la Cina e il Giappone – entrambe colpite dai nuovi dazi di Trump – potrebbero essere riluttanti a continuare a finanziare il debito americano.

Il rischio percepito dagli operatori è duplice: da un lato l’assenza di un credibile piano di riduzione del deficit, dall’altro la tentazione di una monetizzazione forzata del debito, ovvero l’acquisto massiccio di titoli di Stato da parte della Fed. Uno scenario che rischia di riaccendere l’inflazione e compromettere la fiducia nel dollaro.

Dollaro in calo, l’oro corre ai massimi

L’accelerazione ribassista del dollaro ha fatto scattare l’allarme tra le grandi banche d’affari. Barclays, in un recente report, ha abbassato le proprie previsioni sull’euro/dollaro a 1,15 per i prossimi 12 mesi, parlando apertamente di “rischi politici legati all’indipendenza della Fed” e di “prospettive negative per l’economia statunitense”.

A beneficiarne, oltre all’oro, è anche il Bitcoin, che ha superato gli 88.000 dollari segnando un +3% nella giornata di ieri. Un altro indicatore chiave del bisogno di rifugi alternativi in una fase di fortissima incertezza.

Un equilibrio fragile

Trump continua a ripetere che “le guerre commerciali sono facili da vincere”. Ma i mercati sembrano pensarla diversamente. Il combinato disposto di dazi, attacchi alla banca centrale e politica fiscale espansiva sta erodendo rapidamente la fiducia internazionale nell’economia statunitense. E con essa, la stabilità del dollaro come moneta di riserva globale.

Per ora, l’America non è ancora travolta da una fuga di capitali paragonabile a quella vissuta da Paesi emergenti negli anni ‘90 o dall’Eurozona post-Lehman. Ma i segnali sono chiari: il timore che la politica prevalga sulla razionalità economica comincia a farsi largo anche tra gli investitori più affezionati. Se Trump non rallenta, lo scontro con la Fed rischia di trasformarsi in una crisi di fiducia dagli esiti imprevedibili.

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