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Arabia Saudita-Emirati, lo strappo nello Yemen: raid su Mukalla, stato d’emergenza e l’ombra del Somaliland riconosciuto da Israele.

Escalation nel sud dello Yemen tra raid, accuse e manovre strategiche: la rivalità tra Riad e Abu Dhabi e il fattore Israele riaprono un fronte chiave per gli equilibri del Medio Oriente.

Arabia Saudita-Emirati, lo strappo nello Yemen: raid su Mukalla, stato d’emergenza e l’ombra del Somaliland riconosciuto da Israele.

Lo Yemen torna prepotentemente al centro dello scacchiere mediorientale e internazionale, riaccendendo tensioni che intrecciano dinamiche locali, rivalità regionali e nuovi calcoli strategici globali. In un Paese da anni ostaggio di una devastante guerra civile e di una delle più gravi crisi umanitarie al mondo, la recente escalation nel sud e nell’est rischia di aprire un nuovo e delicato dossier per Donald Trump, chiamato a gestire un equilibrio sempre più fragile tra alleati storici degli Stati Uniti come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

Stato d’emergenza e rottura con Abu Dhabi

Il segnale più evidente del deterioramento della situazione è arrivato da Sana’a, dove il capo del Consiglio presidenziale yemenita, Rashad al-Alimi, considerato vicino a Riad, ha proclamato lo stato di emergenza per 90 giorni. La decisione è accompagnata dalla chiusura temporanea di porti e confini e, soprattutto, dall’annuncio della cancellazione dell’accordo di difesa con gli Emirati Arabi Uniti. Una mossa senza precedenti che certifica la frattura ormai aperta tra il governo yemenita riconosciuto a livello internazionale e Abu Dhabi, accusata di sostenere le ambizioni separatiste nel sud del Paese.

Due Yemen, due alleati e una competizione crescente

Alla base dello scontro c’è la contrapposizione tra il fronte governativo appoggiato dall’Arabia Saudita e il Consiglio di Transizione del Sud, movimento secessionista sostenuto dagli Emirati Arabi Uniti. Mentre Riad continua ufficialmente a sostenere l’unità dello Yemen, Abu Dhabi guarda con favore alla rinascita di uno Stato del Sud, ricalcando i confini dell’ex Yemen meridionale indipendente fino al 1990. Questa divergenza strategica, a lungo mascherata dalla comune opposizione agli Houthi, è ora esplosa apertamente.

Il raid saudita su Mukalla e l’accusa di contrabbando di armi

L’escalation ha trovato una drammatica espressione nel raid aereo condotto dalla coalizione a guida saudita contro il porto di Mukalla, nel governatorato di Hadramawt. Secondo Riad, l’operazione ha preso di mira armi e veicoli da combattimento scaricati da due navi provenienti dal porto emiratino di Fujairah, con i sistemi di tracciamento disattivati. L’obiettivo dichiarato è stato quello di impedire il rifornimento militare alle forze separatiste del Sud, considerate una minaccia diretta alla sicurezza nazionale saudita e alla stabilità regionale.

Accuse reciproche e diritto internazionale

Il Consiglio di Transizione del Sud ha reagito accusando l’Arabia Saudita di aver colpito un’infrastruttura civile, parlando apertamente di violazione del diritto umanitario internazionale. Riad ha respinto con forza le accuse, ribadendo che l’operazione è stata “limitata, mirata e condotta nel pieno rispetto delle norme internazionali”, senza danni collaterali. Sullo sfondo resta il braccio di ferro diplomatico, con l’ultimatum saudita che chiede agli Emirati il ritiro di tutte le loro forze dallo Yemen entro 24 ore e la cessazione di qualsiasi sostegno militare o finanziario.

Washington osserva e invita alla moderazione

Gli Stati Uniti seguono con crescente preoccupazione l’evolversi della crisi. Il segretario di Stato Marco Rubio ha invitato alla moderazione e alla diplomazia, evitando, però, di prendere apertamente posizione tra due partner chiave di Washington. Per l’amministrazione americana, la spaccatura tra Arabia Saudita ed Emirati rappresenta un rischio strategico: indebolisce il fronte anti-Houthi e complica la gestione della sicurezza nel Mar Rosso, snodo cruciale per il commercio globale e per gli equilibri militari regionali.

Il fattore Israele e il nodo Somaliland

Ad aggiungere complessità al quadro c’è l’ultimo passo del governo guidato da Benjamin Netanyahu, con l’annuncio del riconoscimento del Somaliland come Stato indipendente e sovrano. Una scelta letta dagli analisti come eminentemente strategica, volta a rafforzare la presenza israeliana nell’area del Golfo di Aden e a costruire nuove alleanze in chiave anti-Houthi. Non a caso, i ribelli yemeniti, sostenuti dall’Iran, hanno già minacciato di colpire eventuali interessi israeliani nella regione.

Mar Rosso e contenimento dell’Iran

Per Israele, il Mar Rosso rappresenta molto più di una rotta commerciale. È una linea vitale per il transito di armi, combattenti e informazioni, nonché un teatro cruciale nel confronto indiretto con Teheran. Rafforzare la propria presenza di intelligence e sicurezza lungo queste coste significa, per Tel Aviv, contenere l’influenza iraniana e prevenire nuovi fronti di destabilizzazione, in un contesto già segnato dalla guerra a Gaza e dalle tensioni con Hezbollah.

Un equilibrio regionale sempre più fragile

La crisi yemenita, lungi dall’essere un conflitto periferico, si conferma così come un nodo centrale delle rivalità mediorientali. La competizione tra Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, l’attivismo israeliano nel Corno d’Africa, il ruolo dell’Iran e le caute mosse di Washington delineano uno scenario in cui ogni passo rischia di avere conseguenze a catena. Per Donald Trump, chiamato a gestire alleanze storiche sempre meno allineate, lo Yemen potrebbe trasformarsi rapidamente in uno dei dossier più complessi e delicati della sua agenda di politica estera.

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