Alberto Trentini rompe il silenzio: la prima telefonata alla famiglia dopo 181 giorni di prigionia in Venezuela
Il cooperante veneziano arrestato nel novembre 2024 ha rassicurato i familiari dal carcere di Caracas: "Sto bene, prendo le medicine". Prosegue la mediazione diplomatica del governo italiano per la sua liberazione.
Alberto Trentini rompe il silenzio: la prima telefonata dopo sei mesi di prigionia in Venezuela.
Il cooperante veneziano arrestato nel novembre 2024 ha rassicurato i familiari dal carcere di Caracas: “Sto bene, prendo le medicine”. Prosegue la mediazione diplomatica del governo italiano per la sua liberazione.
Caracas – Dopo 181 giorni di silenzio e preoccupazione, Alberto Trentini, il cooperante veneziano detenuto in Venezuela dal novembre 2024, ha finalmente contattato la sua famiglia. La telefonata, giunta nella notte dal carcere di Caracas, ha rassicurato i familiari: Trentini sta bene, assume regolarmente le sue medicine e spera di poter tornare presto in Italia. La notizia rappresenta un importante passo avanti in una vicenda segnata da tensioni diplomatiche, accuse pesanti e mobilitazione della società civile.
La scomparsa e l’arresto
Trentini, 45 anni, era arrivato in Venezuela il 17 ottobre 2024 per conto della ONG Humanity & Inclusion, con il compito di coordinare progetti di assistenza per persone con disabilità. Il 15 novembre, durante uno spostamento da Caracas a Guasdalito, è stato fermato a un posto di blocco e arrestato. L’ultimo messaggio inviato ai genitori è stato un laconico: «Saluti da aeroporto di Caracas», prima di sparire senza lasciare tracce. Da quel momento, nessuna comunicazione diretta con la famiglia, nessuna conferma ufficiale delle accuse.
Solo a febbraio 2025 è giunta la conferma delle imputazioni a suo carico: terrorismo e cospirazione contro la Repubblica Bolivariana, nell’ambito di un clima politico sempre più teso e chiuso alla cooperazione internazionale. In questi mesi, il cooperante sarebbe stato detenuto in regime di isolamento presso il carcere El Rodeo I, nello Stato di Miranda, a circa trenta chilometri dalla capitale.
La telefonata: “Sto bene, prendo le medicine”
La notizia della telefonata è stata diffusa da La Repubblica e subito confermata dall’avvocata della famiglia, Alessandra Ballerini, nota per il suo impegno nella difesa dei diritti umani. La voce di Trentini ha finalmente rotto il silenzio: «Sto bene, mangio e prendo le medicine», ha riferito ai familiari. Una rassicurazione fondamentale, considerando che il cooperante soffre di ipertensione e necessita di cure farmacologiche costanti.
Un dettaglio che ha aumentato la preoccupazione nel corso dei mesi, spingendo amici, attivisti e colleghi ad organizzare presidi e manifestazioni per mantenere alta l’attenzione sul caso. «Abbiamo bisogno di tenere alta l’urgenza anche per le sue condizioni di salute», avevano dichiarato i sostenitori in una delle tante mobilitazioni.
La reazione delle istituzioni italiane
La telefonata non è frutto del caso. Si inserisce in un più ampio sforzo diplomatico portato avanti dal governo italiano, che negli ultimi mesi ha intensificato i contatti con le autorità venezuelane. Il viceministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Edmondo Cirielli, ha espresso pubblicamente sollievo:
«A nome del governo italiano, esprimo sollievo per la prima telefonata di Alberto Trentini ai suoi familiari dopo 181 giorni di detenzione. Questo passo in avanti è frutto di un lungo lavoro di mediazione diplomatica. Ringrazio nuovamente Nicolás Maduro per l’interessamento e auspico che si possa giungere a una rapida scarcerazione del connazionale».
Anche la premier Giorgia Meloni si era mobilitata direttamente, telefonando lo scorso aprile alla madre di Trentini, Armanda Colussi, per assicurare l’impegno delle istituzioni nel riportare il figlio a casa.
Un caso simbolo della “diplomazia degli ostaggi”
Il caso Trentini si inserisce in una più ampia strategia politica messa in atto dal regime di Nicolás Maduro, accusato da diverse organizzazioni internazionali di utilizzare la cosiddetta “diplomazia degli ostaggi”: l’arresto di cittadini stranieri come leva per ottenere concessioni politiche o diplomatiche. L’Italia, che non ha riconosciuto l’esito delle elezioni venezuelane del 2024, è considerata da Caracas un attore ostile, e ciò potrebbe aver influenzato la detenzione del cooperante.
Tuttavia mentre amici, colleghi e volontari continuano a mobilitarsi in Italia per mantenere viva l’attenzione sulla vicenda, la telefonata di Alberto Trentini ridà speranza. A sei mesi dall’arresto, la conferma della sua salute fisica e mentale è già una notizia confortante. Ma resta ancora un lungo cammino da percorrere affinché il cooperante possa finalmente tornare a casa.
“Spero di tornare presto in Italia”, avrebbe detto al telefono. Un desiderio semplice, ma che oggi suona come un appello alla responsabilità e alla diplomazia internazionale.
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