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Greenwashing, il pugno duro dell’Ue che continua a lottare

"La sconfitta delle pratiche del greenwashing è fondamentale per materializzare una finanza che sia sostenibile"

Greenwashing, il pugno duro dell’Ue che continua a lottare

La sorveglianza europea sul greenwashing fa un ulteriore passo avanti e la corsa comunitaria a consolidare il primato nella gestione reale della finanza sostenibile è stata di recente valorizzata con l’accordo congiunto delle tre autorità di Bruxelles che vigilano banche (Eba) assicurazioni e pensioni (Eiopa) e mercati finanziari (Esma) per dare una definizione ancora più chiara e netta delle pratiche finanziarie sleali in campo ambientale.

Esma, Eba e Eiopa hanno pubblicato a inizio giugno il Progress Report on Greenwashing, dichiarando senza metafore la natura del problema del greenwashing come fattore di manipolazione del mercato e della buona fede dei consumatori.

Il greenwashing, nel report, è codificato come “una pratica in cui le dichiarazioni, azioni o comunicazioni relative alla sostenibilità non riflettono in modo chiaro e corretto il sottostante profilo di sostenibilità di un’entità, di un prodotto finanziario o di un servizio finanziario. Questa pratica può essere fuorviante per consumatori, investitori o altri partecipanti al mercato” ed è dunque estesa rispetto al tradizionale cerchio di riferimento che parte soprattutto dalla comunicazione delle aziende, senza focalizzarsi sulle effettive scelte degli investitori.

Ad oggi le regolamentazioni sul greenwashing riguardavano soprattutto norme legate a prodotti presentati come “sostenibili” nel processo di creazione e assemblamento ma in realtà impattanti sull’ambiente, soprattutto nei settori auto-definiti sostenibili, o in pratiche elusorie delle aziende rispetto agli obiettivi interni di decarbonizzazione e tutela dello sviluppo sostenibile. Oggi si fa un passo oltre: la sostenibilità sbandierata ma non applicata può fuorviare gli investitori che possono incorporare nelle loro scelte anche l’attenzione ai rating Esg delle aziende come movente delle loro decisioni da attori di mercato. Ed è paragonabile come rischio alle politiche che sottovalutano l’impatto ambientale sulla crescita economica. In entrambi i casi, infatti, quando i casi vengono resi pubblici si assiste alla “perdita di fiducia degli investitori nei mercati Esg, a una minore spinta a rendere sostenibili le politiche finanziarie e al calo della capacità del sistema finanziario di sostenere la transizione verso un’economia sostenibile”.

Un problema strutturale, di fiducia e di programmazione economica, che i regolatori di quella che resta la maggiore area economica del pianeta e la prima per efficacia normativa e trasparenza finanziaria vogliono risolvere. Eba, Esma e Eiopa invitano a mettere nero su bianco le strategie di modellizzazione Esg dei prodotti rivolti agli investimenti ambientalmente sostenibili nei portafogli finanziari e a codificare sentieri realistici e basati su dati concreti perché le aziende possano strutturare le loro politiche per la sostenibilità.

In un contesto in cui il 57% dei fondi europei ha raggiunto un livello di attenzione e trasparenza per la sostenibilità efficace secondo i requisiti dell’Articolo 8 della Tassonomia verde dell’Ue e in cui anche la Banca centrale europea e la Commissione Ue spingono contro il greenwashing, il tassello delle tre autorità di vigilanza sui mercati può chiudere il percorso normativo. Su cui influenza molto l’approccio italiano: Roma con Ispra monitora la lotta al greenwashing ed è all’avanguardia sugli strumenti normativi e sanzionatori per penalizzare chi abusa di questa pratica, producendo una comunicazione aziendale errata e manipolatoria.

L’idea di un mercato non lasciato a sé stesso, guidato ma non dominato dai regolamenti e trasparente per gli operatori è fondamentale perché la finanza sia sostenibile: e la sconfitta delle pratiche di greenwashing è fondamentale per materializzarla.

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