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Milano, i sanitari: Siamo in guerra ma senza munizioni!

«Siamo soldati in guerra ma senza munizioni e con comandanti impreparati che ci mandano al fronte senza strategie chiare e con armi a volte inutili, se fino a ieri ci assalivano e ci denunciavano oggi siamo diventati eroi….speriamo rimaniamo così anche dopo». Il grido d’allarme è lanciato da Mariella De Astis, infermiera e responsabile sindacale del Policlinico di Milano, nonché referente nazionale del Nursing up, che raccoglie 6 mila professionisti della sanità in Lombardia (tranne medici) e 600 solo nel suo ospedale. In questi giorni di massima emergenza anti Coronavirus la gente chiama “Eroi” e “Angeli” gli infermieri e tutti gli operatori della sanità, ma forse non si rende conto appieno delle condizioni in cui lavorano. Innanzitutto i numeri: in Lombardia ci sono 38 mila infermieri a fronte di una carenza di 4 mila 700 unità secondo un rapporto del 2018 mentre in Italia ne mancano 50 mila a fronte di 260 mila del settore pubblico. Numeri che fotografano una realtà difficile: «Quello che viviamo oggi è il risultato di tagli sulla sanità di 10 anni di circa 37 miliardi con il taglio di posti letto e chiusura di ospedali pubblici ( sopratutto i più piccoli). Da allora ci sono ad oggi circa 12000 infermieri in meno e 6000 medici in meno…Stessa cosa ha avuto impatto su tutte le altre professioni sanitarie come le ostetriche, tecnici di radiologia e di laboratorio, etc.- ha spiegato – figuriamoci in questo periodo: facciamo turni di 14-16 ore senza poter bere o ristorarci perché non possiamo permetterci di “consumare” le poche mascherine che ci sono e questo non solo nei reparti Covid 19; ci sono studi scientifici che dimostrano che quando il rapporto tra infermiere e pazienti sale oltre 1/6 aumenta la mortalità. Con gli attuali accreditamenti regionali che cambiano da regione a regione il rapporto nel migliore dei casi è di 1 / 11-12 pti. Esattamente il doppio». Le mascherine e gli altri dispositivi di sicurezza sono le munizioni che a questo esercito mancano più di tutto. «Non ci sono i dispositivi soprattutto quelli Fpp3 e nei reparti che non sono per il Covid sono distribuite in maniera non idonea – ha psoseguito – ade esempio alla Mangiagalli dove si continua a far nascere e curare neonati possiamo indossare solo quelle chirurgiche che non servono molto, visto che se accede una puerpera positiva al virus io devo poterla curare e assistere fino in fondo ed ecco perché stanno aumentando i contagi tra di noi! Il punto è che non possiamo permetterci di ammalarci e il tampone lo fanno solo a chi sta già male». Gallera dice che la percentuale dei contagiati tra infermieri e operatori è del 12 per cento, ma in realtà mancherebbero all’appello i contagiati asintomatici che non vengono tamponati. La situazione potrebbe essere arginata investendo nelle nuove strutture e reclutando personale. Il Governo ha stabilito di assumere a tempo determinato neolaureati o laureandi, pensionati ma serve? «Questa è una scelta scellerata e noi chiediamo di ascoltarci su un punto: bisogna assumere a tempo indeterminato tutti i precari inseriti nelle graduatorie che – dovendo magari mantenere delle famiglie – lavorano nel settore privato e si arrangiano come possono! Le nostre richieste sono queste: è assurdo richiamare i pensionati quando si dice alla gente di stare in casa! Per non parlare dei laureandi che avrebbero bisogno di essere seguiti…ma da chi? Chiediamo inoltre il tampone per tutti noi, non solo per quelli già malati e soprattutto chiediamo mascherine a sufficienza». Spesso le storie degli infermieri si ripetono: «Mi ha colpito molto quella di una famiglia di giovani colleghi : il marito infermiere immunodepresso non va a lavorare e sta a casa con la figlia e la moglie sua collega che deve andare per forza, ma che senza dispositivi idonei rischia di contagiare i congiunti…per non parlare di altre coppie con figli a casa o nonni per nulla sostenute». Cosa servirebbe più di tutto ancora? «Io credo che servirebbe di ascoltarci davvero e di ascoltare non solo i medici perché siamo noi che siamo in corsia vicino a tutti – ha concluso la sindacalista – abbiamo infatti preparato un documento da inviare al Consiglio dei Ministri in cui chiediamo oltre a ciò che ho già detto anche di riconoscere l’infortunio per chi si ammala di covid 19 in corsia, perché oggi non è così ed è davvero pazzesco!»

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