Giovanni Brusca è libero: l’uomo che azionò il telecomando della strage di Capaci ha scontato la pena.
Dopo 25 anni di carcere e 4 di libertà vigilata, il boss di San Giuseppe Jato torna libero grazie alla legge sui collaboratori di giustizia. Forti le reazioni dei familiari delle vittime: “Questa non è giustizia”.
Giovanni Brusca è libero: l’uomo che azionò il telecomando della strage di Capaci ha scontato la pena.
Dopo 25 anni di carcere e 4 di libertà vigilata, il boss di San Giuseppe Jato torna libero grazie alla legge sui collaboratori di giustizia. Forti le reazioni dei familiari delle vittime: “Questa non è giustizia”.
Giovanni Brusca è un uomo libero. Il boss mafioso di San Giuseppe Jato, condannato per oltre un centinaio di omicidi, tra cui quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, e responsabile dell’attentato che uccise il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta, ha concluso il suo percorso giudiziario. Dopo 25 anni di reclusione e quattro di libertà vigilata sotto il programma di protezione, Brusca vivrà ora sotto falsa identità, lontano dalla Sicilia.
La sua scarcerazione definitiva, avvenuta a fine maggio 2025, ha suscitato dolore, sdegno e interrogativi profondi. Se da un lato la legge ha fatto il suo corso, dall’altro resta forte il senso di ingiustizia avvertito dai familiari delle vittime, che vedono tornare in libertà un uomo la cui storia criminale rappresenta una delle pagine più buie della Repubblica.
Le parole di chi ha pagato il prezzo più alto
Tra le voci più accorate quella di Tina Montinaro, vedova di Antonio Montinaro, caposcorta del giudice Falcone:
“So bene che è stata applicata la legge, ma ritengo che questa non sia giustizia. Dopo 33 anni non sappiamo ancora tutta la verità. Brusca libero è una ferita aperta, è indegno che per quanto abbia collaborato sia oggi un uomo libero”.
Dello stesso tenore le parole di Giuseppe Costanza, autista di Giovanni Falcone e sopravvissuto alla strage:
“Queste persone non dovrebbero uscire mai dal carcere. Hanno ucciso anche bambini. Brusca ha scontato la pena, ma chi è morto non tornerà. È come un premio. E adesso lo abbiamo di nuovo in giro. Viva l’Italia?”.
Anche Alfredo Morvillo, fratello della giudice Francesca Morvillo, ha commentato con amarezza:
“Ha scontato la pena, ha usufruito dei benefici previsti dalla legge, ma resta un criminale”.
Il paradosso della giustizia: la legge voluta da Falcone
In contrasto con il dolore dei familiari, arrivano le parole di chi quella legge l’ha applicata e difesa. L’ex procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso ha ricordato:
“Capisco la rabbia. Ma la legge che oggi consente la libertà a Brusca l’ha voluta Giovanni Falcone. È grazie ai suoi segreti se abbiamo sgominato la cupola mafiosa. Con lui lo Stato ha vinto tre volte: lo ha arrestato, lo ha fatto collaborare, e ha dimostrato che l’unica via per i mafiosi è pentirsi”.
Una posizione condivisa anche da Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso:
“Non posso nascondere il dolore, ma questa è la legge di Giovanni. Brusca ha collaborato e le sue dichiarazioni hanno permesso di arrestare decine di boss. Tuttavia, la sua collaborazione non è stata pienamente esaustiva: restano zone d’ombra, soprattutto sui beni a lui riconducibili. E la giustizia deve continuare a indagare”.
Un passato di sangue
Brusca è noto come il “boia di Capaci”. È stato uno degli uomini più spietati di Cosa Nostra. Oltre ad aver provocato con il telecomando l’esplosione sull’autostrada A29, ha ordinato o partecipato direttamente a più di cento omicidi. Tra i più atroci, quello di Giuseppe Di Matteo, il figlio quindicenne di un collaboratore di giustizia, tenuto in ostaggio per 779 giorni, strangolato e poi sciolto nell’acido.
Nel 2000, dopo un primo finto pentimento, iniziò a collaborare realmente con la giustizia. La sua collaborazione fu decisiva per disarticolare numerose cellule mafiose e fu valutata dalla magistratura utile a giustificare il beneficio della riduzione della pena, in applicazione della legge del 1991 voluta proprio da Giovanni Falcone e Antonio Scopelliti.
Tra giustizia e memoria
Il caso Brusca riaccende il dibattito sul significato della giustizia in uno Stato democratico. È giusto che un uomo responsabile di crimini così efferati torni alla libertà? Può la collaborazione con la giustizia redimere un passato criminale così devastante? E quanto pesa la legge quando si confronta con il dolore incancellabile delle vittime?
La risposta, forse, si trova nelle parole ancora una volta di Maria Falcone:
“La legge è il fondamento della nostra democrazia. Ma non dimentichiamo: privare i mafiosi dei loro soldi è la pena più dura. La lotta alla mafia non si ferma alla galera. Si combatte ogni giorno, con la forza del diritto”.
Nel giorno in cui Brusca torna libero, l’Italia si ritrova ancora una volta a fare i conti con il suo passato. E con le ferite, mai rimarginate, lasciate dalla mafia.
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