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Giornalisti nel mirino: secondo Reporter senza frontiere il 2025 segna 67 cronisti uccisi nel mondo.

Il nuovo bilancio diffuso da Reporter senza frontiere rivela un aumento delle uccisioni e conferma un anno di forte deterioramento per la sicurezza di chi opera nell’informazione.

Giornalisti nel mirino: secondo Reporter senza frontiere il 2025 segna 67 cronisti uccisi nel mondo.

Il nuovo rapporto annuale di Reporter senza frontiere consegna un bilancio che racconta un anno buio per la libertà d’informazione: dal 1° dicembre 2024 al 1° dicembre 2025 sono stati uccisi 67 giornalisti, un numero in crescita che riporta indietro l’orologio della sicurezza per chi racconta i conflitti e la criminalità.

Gaza, epicentro della tragedia

La Striscia continua a essere il luogo più mortale al mondo per chi esercita la professione giornalistica. Dei 67 reporter uccisi nel periodo considerato, 29 hanno perso la vita a Gaza durante i bombardamenti e le operazioni dell’Idf. Per il terzo anno consecutivo RSF punta il dito contro l’esercito, sottolineando come le vittime non siano “incidenti” né “danni collaterali”, ma professionisti colpiti mentre svolgevano il loro lavoro. Thibaut Bruttin, direttore generale dell’organizzazione, parla senza mezzi termini di reporter “presi di mira”. Israele ha sempre replicato sostenendo che molte delle vittime fossero legate ad Hamas, linea difensiva più volte contestata dalle associazioni internazionali.

L’episodio più letale citato nel rapporto è l’attacco del 25 agosto all’ospedale Nasser, nel sud della Striscia, dove cinque giornalisti – tra cui collaboratori di Reuters e Associated Press – sono rimasti uccisi. Inizialmente l’esercito israeliano affermò di aver colpito “affiliati di Hamas”, salvo poi arrivare alle espressioni di rammarico del primo ministro Benjamin Netanyahu, che definì l’uccisione dei reporter un “incidente”.

Il ruolo cruciale dei giornalisti locali

Nella Striscia, ancora oggi, i giornalisti palestinesi restano gli unici in grado di documentare la situazione sul campo. Nonostante la tregua, Israele continua a impedire l’ingresso della stampa internazionale. La Corte Suprema israeliana, lo scorso 23 ottobre, aveva imposto al governo di riconsiderare questa posizione entro trenta giorni, ma la situazione non è cambiata. Il risultato è che la comunità internazionale dipende completamente dai reporter locali, costretti a lavorare in condizioni estreme e con un alto livello di rischio.

Oltre Gaza: Messico, Sudan, Ucraina e gli altri fronti della violenza

Fuori dal Medio Oriente, il Messico si conferma il secondo Paese più pericoloso al mondo per chi fa informazione. Qui, nel 2025, sono stati uccisi nove giornalisti, il numero più alto degli ultimi tre anni. La pressione dei cartelli della droga e l’impunità che caratterizza molte regioni del Paese continuano a trasformare il lavoro sul campo in un’impresa mortale.

Il Sudan, dilaniato dalla guerra interna, registra quattro uccisioni, due delle quali legate a rapimenti compiuti dalle Forze di Supporto Rapido. L’Ucraina rimane un teatro di forte rischio: l’esercito russo continua a prendere di mira sia reporter locali sia inviati stranieri. Tra le vittime figura il fotoreporter francese Antoni Lallican, colpito da un attacco di droni russi.

In due casi, i giornalisti sono stati uccisi mentre lavoravano lontano dal proprio Paese: oltre a Lallican, il salvadoregno Javier Hércules, assassinato in Honduras. Tutti gli altri hanno perso la vita nei rispettivi territori di origine, un dato che conferma come la maggior parte dei reporter sia più vulnerabile nei contesti che conosce meglio, ma che non può abbandonare.

Arresti, sparizioni e sequestri: un panorama ancora più cupo

Oltre alle morti, RSF fotografa un mondo in cui arresti, sparizioni e sequestri continuano a crescere. Al 1° dicembre 2025 i giornalisti detenuti sono 503 in 47 Paesi. La Cina resta la più grande prigione per professionisti dell’informazione con 121 detenuti, seguita da Russia e Myanmar, ma è la Siria, a un anno dalla caduta di Bashar al-Assad, a detenere il triste primato dei giornalisti scomparsi: molti di quelli sequestrati o arrestati durante il regime risultano ancora introvabili.

Nel mondo si contano inoltre 135 reporter di cui non si hanno più notizie e 20 giornalisti attualmente tenuti in ostaggio. Lo Yemen emerge come il Paese con più sequestri nel 2025, con sette rapimenti attribuiti ai ribelli Houthi.

Le parole di RSF e il crescente clima di ostilità

Nel presentare il rapporto, il direttore generale Thibaut Bruttin ha sottolineato come il clima di ostilità nei confronti dei reporter sia alimentato tanto dalle forze armate quanto dalle organizzazioni criminali. La critica ai media, afferma, è legittima e può essere costruttiva, ma non deve mai degenerare in odio verso chi racconta i fatti. Bruttin ricorda anche un principio fondamentale: “nessuno dà la vita per il giornalismo: gli viene tolta”.

Un allarme che non può essere ignorato

Il quadro tracciato da Reporter senza frontiere descrive un anno in cui “i giornalisti non muoiono, vengono uccisi”. Un monito che non riguarda solo le vittime, ma il ruolo stesso dell’informazione. Quando i testimoni della storia diventano bersagli, il rischio non è solo per loro, ma per la società nel suo complesso. Dalla Striscia di Gaza alle regioni dominate dal narcotraffico, dai fronti di guerra alle prigioni segrete, il 2025 consegna un bilancio che richiede attenzione politica, protezione concreta e una difesa più decisa della libertà di stampa.

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