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Agrigento, ingente sequestro di Polizia ai fratelli Maira, condannati per mafia dal giudice Livatino

Agrigento, la Polizia di Sato di Agrigento ha dato esecuzione a sequestri patrimoniali nei confronti dei fratelli MAIRA, rispettivamente di anni 71 e di anni 65.

La Polizia di Stato di Agrigento ha eseguito sequestri patrimoniali nei confronti dei fratelli Maira, Antonio e Giuseppe, canicattinesi, per un valore di circa 400mila euro.

Sequestrati immobili situati a Canicattì e Caltanissetta (nr.5 appartamenti, con relative pertinenze, e nr.3 magazzini) e depositi bancari intestati ad essi ed ai familiari (nr.19 rapporti bancari/finanziari), nonché un’autovettura Audi Q3.

Le indagini patrimoniali scaturiscono dal provvedimento di fermo d’indiziato di delitto emesso dalla Procura della Repubblica di Agrigento ed eseguito nei confronti dei Maira dai poliziotti della Squadra Mobile di Agrigento e dalla Compagnia Carabinieri di Canicattì nel dicembre 2019.

A seguito di indagini, suffragate da dichiarazioni di alcune vittime, era emerso che i due fratelli si erano resi responsabili di attività usuraie nei confronti di piccoli imprenditori del canicattinese in difficoltà, a cui chiedevano tassi d’interesse ammontanti al 120% annuo, a fronte delle somme di denaro prestate.

Per tali reati i fratelli hanno già subito condanne con giudizio abbreviato, rispettivamente 4 anni di reclusione Antonio Maira e 5 anni di reclusione Giuseppe Maira.

Ma già negli anni 2004 – 2009 entrambi si erano resi responsabili di analoghi delitti per i quali furono rinviati a giudizio, non a caso l’operazione fu chiamata “Cappio”.

Terminate le indagini, conclusesi con i fermi, si è costituito uno specifico nucleo nella Divisione Anticrimine della Questura, ed i poliziotti hanno analizzato i flussi finanziari dei due indagati fin dai primi anni 2000, rilevando nette sperequazioni tra le esigue somme di denaro di provenienza lecita e gli investimenti immobiliari e mobiliari, individuando abitazioni e negozi tra Canicattì e Caltanissetta, che sono stati il reimpiego di capitali illeciti, oltre a rapporti bancari in diversi istituti di credito.

Le risultanze delle indagini sono poi state comunicate dal Questore di Agrigento, organo proponente nell’ambito delle sue specifiche prerogative, al Tribunale di Palermo –Sezione Misure di Prevenzione – che ha condiviso le tesi investigative disponendo i sequestri finalizzati alla confisca.

E’ stata inoltre chiesta nei loro confronti l’irrogazione della misura di prevenzione della Sorveglianza Speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, relativamente alla quale si attende la decisione dal Tribunale per il giorno 26.06.2021, data fissata per consentire alle parti interessate di esporre le proprie tesi difensive alle misure di prevenzione patrimoniali già disposte e quelle personali da disporre.

Maira Antonio è stato personaggio di primo piano nel panorama delinquenziale della provincia agrigentina, circostanza questa che ha nettamente agevolato il sodalizio col fratello Giuseppe nella riscossione dei crediti dalle proprie vittime, per il timore di gravi ritorsioni.

Mafioso ante litteram, ha infatti militato già negli anni ’80 nella “Stidda”, clan notoriamente contrapposto a “Cosa Nostra”, potendo la cosca disporre a Canicattì di una nutrita e pericolosa cellula, di cui appunto egli faceva parte.

Per conto del suo “Paracco”, cioè “Ombrello”, così chiamato in gergo dagli “Stiddari” la frangia territoriale, si occupava del traffico di droga e delle rapine, fece parte di un commando che nel novembre 1983 compì una rapina in un’armeria di Favara, ove furono trafugate diverse armi, altresì di altro gruppo di rapinatori che nello stesso periodo trafugò 27milioni di lire nel corso di un rapina compiuta presso una banca di Palma di Montechiaro, dopo aver immobilizzato la guardia giurata ed averle sottratta la pistola.

Una delle armi trafugate nell’armeria e quella della guardia giurata furono poi rinvenute il 6.04.1984 dalle forze dell’odine nel corso di una perquisizione presso la sua abitazione, motivo per il quale fu tratto in arresto.

Per i suddetti reati, traffico di droga in contesto associativo ed armi, il predetto fu condannato dal Tribunale di Agrigento nel 1986 alla pena della reclusione di anni 22 e mesi 6, poi ridotta in appello ad anni 17 e mesi 6 di reclusione.

Fu quello che del “Paracco” prese la condanna più pesante, che scontò fino all’anno 2004.

A sostenere l’accusa era l’allora giovane Pubblico Ministero Rosario LIVATINO, proclamato Beato la scorsa domenica, che pochi anni dopo, il 21 settembre 1990, fu ucciso per mano di “Stiddari”, a dire dei vari collaboratori di giustizia proprio perché aveva inflitto pesanti condanne ad affiliati della “Stidda”, tra cui appunto figurava il Maira Antonio.

Nel 1997 la Corte di Assise di Appello di Palermo conclamò il ruolo dello stesso nel gruppo degli “Stiddari”, come già delineato nella sentenza del 1996 della Corte di Assise di Agrigento “ALLETTO Croce +77”, condannandolo ad anni 5 di reclusione per il reato di cui all’art. 416 bis.

Proprio in ragione di questa sua perdurante dedizione al crimine il Tribunale di Palermo ha stabilito per  Maira Antonio una pericolosità sociale retrodatata agli anni ’80, ovvero quando appunto iniziò a commettere crimini di particolare gravità.

Il fatto che si giunga in questo periodo in cui vi è stata la beatificazione del giudice Livatino al sequestro patrimoniale nei confronti di un soggetto che fu affiliato alla “Stidda” ha un alto valore simbolico, specie se trattasi proprio di quell’affiliato nei confronti del quale l’allora Pubblico Ministero ottenne che venisse inflitta la condanna più dura, condanna che insieme a quelle degli altri accoliti ne decretarono la barbara uccisione.

 

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