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Famiglia nel bosco, i figli portati in comunità: il caso di Palmoli che divide l’Italia tra libertà educativa e diritti dei minori.

Il caso della famiglia anglo-australiana di Palmoli, allontanata dalla casa nel bosco dal Tribunale per i minorenni, apre un acceso dibattito nazionale su libertà educativa, tutela dei minori, ruolo dello Stato e scelte di vita alternative.

Famiglia nel bosco, i figli portati in comunità: il caso di Palmoli che divide l’Italia tra libertà educativa e diritti dei minori.

La storia della “famiglia che vive nel bosco” è diventata in poche settimane uno dei casi più discussi d’Italia. I protagonisti sono Catherine Birmingham e Nathan Trevallion, coppia anglo–australiana che ha scelto di trasferirsi in una casa colonica immersa nei boschi di Palmoli, nell’entroterra chietino. Con loro vivono tre bambini – una bimba di otto anni e due gemelli di sei – cresciuti senza elettricità, senza acqua corrente, senza gas e lontano dalla quotidianità urbana.
La loro è una scelta di vita radicale, dettata dal desiderio di allontanarsi dalla modernità e di offrire ai figli un’infanzia immersa nella natura. Per l’istruzione, i genitori hanno optato per la scuola parentale, con il supporto di un’insegnante privata. Una scelta che molti considerano legittima e affascinante, ma che ha attirato l’attenzione delle autorità dopo un episodio sanitario.

Il caso nasce da un’intossicazione da funghi

Il caso nasce da un ricovero in ospedale, ad aprile, dovuto a un’intossicazione alimentare da funghi. In quell’occasione, i sanitari notano la particolare situazione abitativa e segnalano il caso agli assistenti sociali, come previsto dalla legge. I successivi controlli dei carabinieri portano alla luce l’assenza di bagno, acqua, luce e gas, la presenza di una roulotte come parte dell’area abitativa e il fatto che i bambini non frequentano una scuola tradizionale.

La Procura minorile dell’Aquila apre un fascicolo che inizialmente porta alla sospensione della potestà genitoriale, senza però allontanare i bambini. Con il tempo, però, i giudici arrivano a una decisione molto più dura, scatenando una bufera mediatica e politica.

L’intervento del Tribunale e una sera di pioggia

Il Tribunale per i minorenni dell’Aquila dispone l’allontanamento dei tre bambini e il loro trasferimento in una comunità educativa del Vastese. La madre potrà restare con loro per tutto il periodo di osservazione, grazie a una lunga trattativa dell’avvocato Giovanni Angelucci.

La scena dell’esecuzione del provvedimento è forte e carica di tensione: è sera, piove, e davanti alla casa colonica arrivano carabinieri, assistenti sociali, il sindaco, la curatrice speciale dei minori e il legale. L’area viene transennata. Una vicina racconta di aver visto i bambini prepararsi con uno zainetto contenente un pigiama, uno spazzolino e un frutto.

Il padre segue il convoglio, ma resta fuori dalla struttura, impossibilitato a passare la notte con i figli. Quella notte, racconta, è “terribile”: il casolare è vuoto, la famiglia è divisa e la sensazione è quella di un trauma improvviso e ingiusto.

Le motivazioni del Tribunale: non solo istruzione

La decisione del Tribunale non è fondata soltanto sull’istruzione. Nel provvedimento si legge chiaramente che il rischio maggiore riguarda la lesione del diritto alla vita di relazione, garantito dall’articolo 2 della Costituzione.

Secondo i giudici, i bambini vivono in un isolamento che impedisce loro di confrontarsi con i coetanei, elemento essenziale per lo sviluppo psicologico e sociale, producendo così “gravi conseguenze psichiche ed educative”.

A questo si aggiungono le condizioni abitative: la casa non ha agibilità, mancano sicurezza strutturale, impianti a norma e condizioni minime di igiene e salubrità.

C’è anche una contestazione moderna e inedita: l’esposizione mediatica dei bambini. I giudici ritengono che la famiglia abbia diffuso immagini e dati che rendono identificabili i minori, compromettendo la loro tutela.

La difesa: “Decisione piena di falsità, faremo ricorso”

L’avvocato della famiglia, Giovanni Angelucci, contesta duramente l’ordinanza, parlando di “falsità”. Sostiene che la documentazione relativa alla scuola parentale esiste ed è protocollata, e che il Tribunale avrebbe ignorato elementi fondamentali.

Secondo la difesa, la famiglia non ha mai messo a rischio i bambini: al contrario, li ha educati con amore e attenzione, nella natura, offrendo loro esperienze ricche e sane. Per questo motivo è già stato avviato il ricorso: i genitori hanno dieci giorni per impugnare la decisione.

La voce del padre: “Ci stanno distruggendo la vita”

Nathan Trevallion racconta la sua versione con grande dolore. Dice che l’intervento dello Stato ha “distrutto la vita di cinque persone”, che i bambini sono stati traumatizzati e che non c’è alcuna ragione per portarli via da una casa dove – secondo lui – erano felici.

Il padre descrive le ore successive come un vortice di angoscia: da solo nel bosco, con gli animali e il silenzio, in attesa di poter vedere la moglie e i figli. Dice che continuerà a combattere perché la famiglia possa tornare a vivere insieme nella loro casa.

L’intervento della politica e la polemica nazionale

L’eco mediatica aumenta quando interviene Matteo Salvini, che definisce “vergognoso” il comportamento dello Stato. In radio e sui social, il vicepremier sostiene che la famiglia non ha fatto nulla di male e che lo Stato non può “rubare i bambini” a due genitori solo perché vivono senza acqua e luce.

Salvini aggiunge un paragone esplosivo: quello con i campi rom di Giugliano, dove – afferma – ha visto bambini non scolarizzati, sporchi, senza servizi essenziali, e chiede perché in quei contesti lo Stato sia assente. La Lega annuncia un’interrogazione urgente.

La mobilitazione online: “giù le mani dalla famiglia che vive nel bosco!”

Intanto, sul web parte una mobilitazione imponente. Una petizione online supera le 30mila firme in pochi giorni, descrivendo la famiglia come vittima di un sistema ingiusto e chiedendo che resti unita nella casa nel bosco.

I firmatari parlano di genitori amorevoli, di scelta consapevole e di uno Stato che opprime la libertà di educare e di vivere come si vuole. Dall’altra parte, molti utenti e commentatori ricordano che la libertà dei genitori non può superare il diritto dei bambini a sicurezza, salute, igiene, socialità e educazione.

Una vicenda ancora aperta, piena di domande difficili

La storia non è finita. Il ricorso verrà esaminato, i servizi sociali continueranno a seguire la famiglia e la comunità educativa ospiterà i bambini e la madre per settimane o mesi. Il padre resta nel bosco, nella casa ormai vuota, aspettando sviluppi.

La storia della famiglia nel bosco è diventata uno specchio del nostro tempo: un paese diviso tra chi teme l’ingerenza dello Stato nelle scelte familiari e chi difende il diritto dei bambini a essere protetti, anche quando i genitori sono animati dalle migliori intenzioni. Un caso che continuerà a far discutere e che, per molti, resta ancora lontano da una soluzione definitiva.

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