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Bologna: smascherato presunto sistema illecito legato al “Decreto Flussi”; 25 indagati e 7 misure cautelari

Operazione della Polizia di Stato contro un presunto circuito illecito legato alla gestione delle pratiche del Decreto Flussi: sequestri, intercettazioni, verifiche nelle sedi operative e 7 misure cautelari eseguite in provincia di Bologna.

Bologna: smascherato presunto sistema illecito legato al “Decreto Flussi”; 25 indagati e 7 misure cautelari.

La Polizia di Stato di Bologna, con personale della II sezione della Squadra Mobile, del Commissariato di Imola e del Reparto Prevenzione Crimine Emilia Romagna Orientale, ha dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare emessa nell’ambito di un’indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Bologna, nella persona del dott. Pierini.

L’ordinanza riguarda 7 soggetti — di cui 6 cittadini italiani, tutti con precedenti per reati inerenti l’immigrazione, il patrimonio e gli stupefacenti — e si inserisce in un procedimento che vede 25 persone iscritte nel registro degli indagati.

Le accuse formulate comprendono associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, truffa aggravata ai danni dello stato e falso ideologico.

L’origine dell’indagine: una denuncia per truffa

L’inchiesta ha preso avvio nel dicembre 2022, quando l’Ufficio Immigrazione di Bologna ha ricevuto una denuncia da parte di un cittadino che, dopo aver versato 200 euro a una società con sede a Imola per ottenere nulla osta al lavoro stagionale, non aveva più ricevuto alcuna risposta.

A partire dalla primavera 2023, la Squadra Mobile e il Commissariato di Imola hanno ricostruito un articolato presunto sistema illecito basato sulla gestione di pratiche legate al Decreto Flussi e agli LFE – tirocini formativi, che consentono l’ingresso legale in Italia di lavoratori stagionali.

Le attività si sono sviluppate su tre fronti:

Accertamenti amministrativi e verifica delle pratiche

Grazie al supporto della Prefettura di Bologna e dell’INAIL, è emerso l’invio di centinaia di domande tramite portali della pubblica amministrazione che presentavano:

  • documentazione falsificata,

  • datori di lavoro fittizi o ignari,

  • nulla osta costruiti ad arte e mai richiesti alle autorità estere.

Intercettazioni e monitoraggi ambientali

Telecamere installate nelle sedi della società — formalmente presentata come CAF — hanno documentato:

  • presunti procacciamenti di clienti stranieri,

  • raccolta di passaporti,

  • incontri e scambi di denaro,

  • predisposizione e caricamento di documenti falsificati,

  • collaborazione tra i membri del presunto sodalizio nel gestire pratiche e modelli.

Controlli territoriali

In collaborazione con vari uffici di Polizia dell’Emilia-Romagna e delle Marche, sono stati effettuati:

  • controlli presso le sedi operative di Imola, Massa Lombarda e Ancona,

  • servizi di osservazione,

  • identificazioni di clienti e collaboratori stranieri.

Secondo gli elementi raccolti, il gruppo sarebbe composto da 25 soggetti con ruoli distinti: un presunto capo del sodalizio, uomo del 1974, affiancato dai due figli (1993 e 2001), una donna bolognese del 1963, un socio di origini cerignolane del 1995, vari collaboratori italiani e stranieri, tra cui un imprenditore edile albanese del 1968 e un cittadino marocchino del 1969.

A ciascuno sarebbe attribuito, a vario titolo, un ruolo nelle attività di procacciamento, falsificazione documentale e presentazione di domande presso le Prefetture.

Oltre 500 domande e presunti pagamenti fino a 10.000 euro

In circa sei mesi di attività, il gruppo avrebbe caricato sui portali delle Prefetture oltre 500 domande, molte delle quali: prive della documentazione richiesta, caricate con file bianchi o passaporti scaduti, esentate usando il meccanismo del silenzio-assenso per ottenere la validazione senza controllo.

Molti cittadini stranieri — in gran parte, secondo gli investigatori, inconsapevoli — avrebbero pagato tra 3.000 e 10.000 euro per ottenere un ingresso in Italia che, nella maggior parte dei casi, non corrispondeva a un reale contratto di lavoro.

Il GIP di Bologna ha disposto 7 misure cautelari, così suddivise: custodia cautelare in carcere per il presunto capo, arresti domiciliari per cinque suoi stretti collaboratori, obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per altri due membri.

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