Pavia, L’Assessorato alla Cultura del Comune di Pavia in collaborazione con la Fondazione Frate Sole presenterà dal 18 luglio al 4 ottobre nella sala espositiva per le arti contemporanee presso il Broletto la mostra “Dalla materia alla forma”, con lavori di Costantino Ruggeri degli anni Sessanta e Settanta, presentate per la prima volta in modo organico.
Le settanta opere presentano interessanti tangenze con la fortunata corrente poverista fondata dal critico Germano Celant recentemente scomparso.
“La materia diventa forma” segna nel 1967 la nascita del movimento dell’arte povera tenuta a battesimo dallo stesso critico d’arte che la caratterizza con queste parole: ”…nel ridurre ai minimi termini, nell’impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi”.
Nella storica mostra dal titolo “Arte povera – Im Spazio” tenutasi alla galleria “La Bertesca” di Genova, Celant presenta gli artisti e il fondamento teorico della nuova corrente che si pone al di fuori del sistema dell’arte. Nell’esposizione compaiono i nomi di Fabro, Bignardi, Boetti, Kounellis, ai quali si aggiungeranno in seguito Paladino, Merz, ed altri ancora. La neonata corrente s’identifica in queste parole: “Prima viene l’uomo e poi il sistema”.
Celant parla di un ‘arte povera, impegnata con la contingenza, con l’evento, con l’astorico, con il presente, con la concezione antropologica e con l’uomo reale. Il punto d’incontro fra l’assoluto della bellezza e il relativo delle forme in cui esso viene indicato, rappresenta un punto sempre nuovo di partenza nell’esperienza di un artista, difficile esprimerlo a parole perché deve esprimersi in situazioni, segni essenziali, aperture imprevedibili, sempre nuove, in soluzioni rigorose quante libere e liberali.
In questo senso, la mostra intende valorizzare e promuovere l’opera di recupero di materiali residuali compiuta da proprio negli stessi anni Costantino Ruggeri, frate francescano ma anche artista attento a tutti i movimenti di rottura che nascono come reazione al clima socio-politico degli anni settanta.
Ruggeri si diploma all’accademia di Brera 1962 e stringe amicizia con i compagni di studi Roberto Crippa, Lucio Fontana, Gianni Dova, Marino Marini, Alberto Burri. A partire dal 1964, Ruggeri sviluppa un dialogo vivo con la materia, con i muri, con gli spazi in rapporto con la luce.
Attraverso questa ricerca, Costantino approda ai materiali più umili: cartone da imballaggio, cellophane, fili di refe, polistirolo, tavolette di legno che trova nelle discariche e nei depositi di materiali inutilizzati.
Le prime opere di questo periodo sono le Forme Bianche, elaborate con oggetti di recupero che colpiscono per la loro essenzialità. Lo spazio è elaborato attraverso la riscoperta della bellezza delle cose morte, per evidenziare la poesia del quotidiano. Come negli Achromes di Manzoni, l’artista rinuncia al colore “per ottenere il massimo di poesia”. Tutto è bianco, tutto è puro ed essenziale. La figura umana è completamente assente, anche se riecheggia in questi spazi.
Seguono le Forme Nere, che presentano superfici scandite da larghe campiture materiche, con esiti di grande impatto visivo. Le Forme nere sono più rare e fanno da contraltare al bianco assoluto. In queste opere talvolta compare anche un piccolo spazio colorato, come avviene nella splendida Forma Nera scandita da cartoni di riuso che, sovrapposti e ritagliati, definiscono lo spazio secondo forme geometriche, all’interno delle quali si muove un filo di refe bianco increspato come una ragnatela precaria.
Ma la formulazione più compiuta dell’innovativa concezione della scultura di Costantino Ruggeri si identifica con “Le celle”, opere tridimensionali in cui l’artista utilizza un cartone spesso piegandolo a forma di parallelepipedo, ricoperto totalmente di uno strato di gesso e pittura bianca, tali da rendere il manufatto immacolato.
Dal soffitto delle Celle pendono talvolta fili di refe, piccole tracce di colore sulle pareti e un solo accenno della presenza di arredi, sinonimi di un vissuto spirituale volto all’essenza della forma. Nella stessa ottica Ruggeri crea le sue opere tridimensionali: pannelli bianchi o neri dove con leggerezza traccia segni con fili di refe, anche nell’utilizzo di vecchi vetri recuperati il segno è sempre improntato alla realizzazione di una forma geometrico-scultorea quasi a delimitare gli spazi dello spirito dove l’interlocutore si perde per poi ritrovarsi.
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