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Lecco, dal 23 maggio al Palazzo delle Paure in mostra le opera di Nicolò Tomaini

L'inaugurazione della rassegna dell'artista lecchese è in programma il 22 maggio

Lecco, la mostra “Habeas corpus: sommario di decomposizione”, in collaborazione col Comune di Lecco – Sistema Museale Urbano Lecchese (Si.M.U.L), a cura di Filippo Mollea Ceirano e Sabina Melesi, testo critico di Filippo Mollea Ceirano, propone una selezione di opere dell’artista lecchese Nicolò Tomaini e offre una panoramica completa ed esaustiva di tutti i principali percorsi che nella sua breve ma intensa esperienza ne hanno contrassegnato la ricerca. La rassegna dell’artista lecchese si inserisce all’interno del programma delle mostre 2021 del Comune di Lecco, nello specifico di Palazzo delle Paure.

“Una mostra all’avaguardia, – spiega l’assessora alla Cultura del Comune di Lecco Simona Piazza -, frutto del lavoro di un artista emergente lecchese, che arricchisce il senso di appartenza della nostra comunità, facendo luce sul complesso rapporto che abbiamo nella vita di tutti i giorni con la tecnologia. Un percorso artistico che si inserisce nel solco tracciato da Tino Stefanoni, e una personale alla quale abbiamo collaborato con piacere, quale parte integrante della nostra programmazione culturale”.

Poco più che trentenne, nei dieci anni di sperimentazione artistica ha saputo cogliere alcuni degli aspetti più angosciosi dell’epoca in cui gli è toccato di vivere: l’invadenza sempre più ossessiva con cui le nuove tecnologie si sono impadronite del controllo della comunicazione tra le persone che private della possibilità di rapportarsi direttamente le une con le altre, annegano in un tempo vuoto contemplando le immagini che scorrono veloci davanti ai loro occhi.

Già nelle prime opere il discorso è assai chiaro. Le icone dei social (Facebook, Twitter) si trasformano nei simboli di passate dittature o in strumenti di morte, gli smartphone si affiancano a selci e tavolette di argilla impresse da caratteri cuneiformi, oppure formano la base di simbolici crocifissi, o ancora divengono supporto di lettere che formano brevi parole («EGO», «INRI») a sottolineare il ruolo che tali strumenti hanno assunto nella società. Successivamente l’indagine si incentra ancor più sulla comunicazione: la macchina prende il controllo dell’idea, della creazione, la degrada a icona predefinita, nei monocromi il colore non è più il risultato della ricerca cromatica dell’artista che invade la superfice dell’opera, ma è rappresentato dal logo del programma Paint riprodotto in un angolo della tela, lasciata invece completamente vuota a ricordare che basta un comando per riempire di colore un intero spazio; per realizzare ritratti di personaggi illustri (scrittori, intellettuali) viene riprodotta sulla tavola la videata della relativa pagina di Wikipedia, mentre la cronistoria dell’attività di messaggeria diviene Ritratto di amanti, a sottolineare come un rapporto amoroso si condensa ormai in un asciutto scambio di brevi frasi digitalizzate. Nella serie Le 120 giornate di Sodoma si intravedono, chiuse dentro pacchi da spedizione, opere d’arte ridotte a gadget da vendere, acquistare, inviare o ricevere.

La mediazione della tecnologia si impadronisce poi del tutto della percezione dell’immagine, che deve adattarsi ai tempi e ai processi imposti dai media. Il tema è indagato con interventi su opere originali (vecchi ritratti o paesaggi), che vengono in parte ricoperte per riprodurre l’effetto del caricamento sullo schermo del computer, o su cui sono riportate frecce e barre di scorrimento, o – nella serie Petrolio – pubblicità di siti di incontri o gadget sessuali. Lo stesso intento hanno gli studio for a loading, in cui le immagini di noti capolavori del passato sono impresse su lastre di metacrilato trasparente, fissate nella fase del “caricamento” sullo schermo, e quindi tanto sfuocate da essere appena riconoscibili; altre volte tali immagini sono realizzate dipingendole manualmente sugli schermi di veri tablet, inane tentativo di riportare in primo piano la manualità artigianale. Nella più recente serie Silicio il quadro si divide in una parte in cui l’opera originale è materialmente scomposta, come in fase di annullamento, e una in cui sono riportati i caratteri digitali del codice sorgente che contiene gli algoritmi di distruzione dell’immagine.

Dai lavori di Tomaini, dalle sue varie sperimentazioni, emerge la rivendicazione dell’importanza della soggettività, della capacità personale di inventare e di sentire, che pur nelle difficili condizioni di questa epoca rimangono necessità quasi fisiche, irrinunciabili esigenze dell’umano. Accompagna la mostra un catalogo edito da Vanillaedizioni (48 pagine) con i testi istituzionali e un saggio critico di Filippo Mollea Ceirano.

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