Japan my love alla Galleria Carte Scoperte di Milano
Sono dieci gli artisti selezionati per il CAM 2016, Concorso Arte Milano, a cui hanno partecipato in tutto venti artisti, e che vuole nell’anno del centocinquantesimo anniversario dei rapporti diplomatici e culturali tra Giappone e Italia, una lunga tradizione di arte e di saperi, di tradizioni e di costumi che si confrontano tramite il dialogo tra due Paesi dalla storia millenaria, rendere omaggio al Kimono, non visto come semplice, seppure prestigioso, indumento da indossare, ma come oggetto artistico ed estetico in tutti i sensi.
Hidetomo Kimura, artista, imprenditore e mecenate è stato l’ideatore della mostra Art Aquarium, che riscosse due anni fa un successo di notevole portata, vedendo un numero elevato di visitatori e di spettatori, ospitata nel prestigioso Circolo Filologico Milanese: Kimura ha investito le proprie risorse e il proprio impegno a realizzare CAM 2016, selezionando gli artisti che hanno risposto positivamente all’appuntamento, e garantendo un’organizzazione dello stesso concorso in tre step, vedendo la partecipazione dei concorrenti e una loro graduale selezione. Siamo giunti, così, alla giornata conclusiva del Concorso, 17 Novembre alle ore 18, nell’ambito della manifestazione Japan my Love, data in cui le opere degli artisti selezionati saranno svelate e rivelate al pubblico presso la Galleria Carte Scoperte di Via Maroncelli 14, Milano, dove saranno esposte fino a Domenica 20 Novembre: l’appuntamento è stato realizzato anche grazie alla collaborazione e alla disponibilità di Andrea Zardin e del padre Gianni con l’apporto, notevole, del critico d’arte Luciano Tellaroli. La sinergia tra i vari soggetti ha garantito a giovani artisti emergenti di poter presentarsi sulla scena inernazionale, iniziando un proprio percorso di rapporto con il mercato dell’arte e di confronto con stili e poetiche di stampo mondiale: sono questi, tra l’altro, gli obiettivi posti da CAM e sono finalità che possono dirsi essere state esaudite nell’edizione attuale del concorso.
Il Kimono si propone, così, nella sua leggera raffinatezza, nella sua eleganza sublime e nella sua estetica delicata come forma di arte e come oggetto compositivo ricco di significato e di fascino visivo: la mostra di due anni fa ha voluto coinvolgere il pubblico italiano in un percorso di scoperta e di riscoperta di tale oggetto che da semplice vestito, che riassume secoli di magistrale storia nipponica, diventa stimolo per una conoscenza della bellezza e dell’armonia delle forme. Importante è stato il sostegno a CAM da parte dello Spazio EDIT, grazie al quale il tempio del design nella città di Milano diventa teatro dove poter esporre e contemplare le opere degli artisti nipponici, molte delle quali esplicano un’equilibrata armonia tra tradizione e attualità.
L’incantevole lettura degli stili, diversi e vari, e delle poetiche compositive, molte e ricche di sapienza descrittiva, dei dieci autori ci porta a dover anticipare gli artisti che si sussegueranno nell’ambito espositivo, conoscendone le ispirazioni, attuali, e la personalità compositiva, viva e presente, di ciascuno di essi: se Nao Saito ci offre un’opera in cui primeggia la levità dei globi in vetro, Akiko Noda ci riserva l’approfondimento delle forme in vetro, affidandoci la sensazione di gracilità delle conchiglie, che sembrerebbero essere leggere e al tocco frantumabili, mentre “34” ci presenta delle carte attraverso cui delle pozzanghere sono state assorbite, disegnando strane e intriganti forme che vanno a comporre disegni inattesi; Daiki Nishimura ci offre paesaggi fatti di ombre e frammentati nel loro comporsi, mentre il monolitico impatto visivo e tangibile si percepisce nelle sculture marmoree firmate da Hiroshima Abe, strutture vere e proprie del ricordo e della memoria; non possiamo non rimanere estasiati dalla contemplazione delle opere che esprimono un lirismo onirico tipico della tradizione dei disegnatori e illustratori giapponesi, composte dal musicista Hiroshi Mehata; il caos come teoria si rivela nella produzione di Hitoshi Tomimori e nella casualità delle figure che si accennano e si compongono attraverso le chine di Takeo Ikegami, ricavando dalle macchie abbozzi piuttosto esemplificativi di struzzi e civette; non dimentichiamo le reminiscenze evocative nelle opere di Kinya e il naturalismo quasi vedutista negli acquerelli di Rokuroku Ueda.
Articolo di Alessandro Rizzo
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